

Dal laboratorio di Telebiella al successo di GRP e Telecupole, fino all’era digitale: come il Piemonte ha rivoluzionato la televisione italiana, creando la TV libera e di prossimità.
Dopo l’esordio del nostro viaggio nelle reti locali cominciato in Lombardia, proseguiamo il giro d’Italia e ci fermiamo non tanto lontani: si va in Piemonte. Il nostro punto di riferimento è e resta l’Italia in cui il piccolo schermo era dominato da un’unica voce – quella della Rai, erede dell’Eiar e dell’Uri – che raccontava il paese dall’alto, con tono pedagogico, rigido, centralizzato. Lo abbiamo già scritto, ma è bene ripetere per contestualizzare il periodo: la TV di Stato era la maestra severa del dopocena, ma non il riflesso delle piazze, delle fabbriche, dei dialetti, delle province.
In mezzo a questo panorama monolitico, il Piemonte degli anni Settanta ribolliva di energia. Era la terra della Fiat e delle tute blu, delle assemblee sindacali e delle cantine in cui si respirava cultura e protesta. Un territorio con un’identità forte, industriale ma popolare, dove cresceva un bisogno sempre più urgente: raccontarsi da soli, senza filtri né palinsesti “imposti da Roma”.
La Rai comincerà a scoprire le regioni solo nel 1979, con la nascita della terza rete. Ma in Piemonte, la miccia era già stata accesa da tempo. E la scintilla – letteralmente – si accese a Biella.
Lì nacque Telebiella, la prima vera televisione libera d’Italia. Il suo fondatore, Giuseppe “Peppo” Sacchi, ex regista Rai, non voleva fondare un’azienda, ma un esperimento di democrazia televisiva. L’idea era semplice e rivoluzionaria insieme: una TV “di cortile“, fatta per la comunità, che parlasse la lingua delle persone e non quella dei comunicati ufficiali.
Telebiella fu il punto d’impatto tra utopia e tecnologia. Non un capriccio commerciale, ma un gesto politico e culturale. La prima crepa nel muro del monopolio. Da quella piccola città piemontese – in apparenza lontana dai centri di potere – partì un’onda che avrebbe cambiato per sempre il modo di fare televisione in Italia. Biella diventò la culla delle TV libere, e il Piemonte, per una volta, non solo anticipò Roma, ma le insegnò come si fa rivoluzione.
La battaglia per la tv libera (1971-1976)
Quando da Biella partì la rivoluzione che mise in crisi un governo
La televisione libera in Italia non nacque per decreto, ma per sfida. E la sfida partì da un piccolo studio di Biella, dove un uomo con un’idea più grande dei mezzi che aveva a disposizione decise di accendere un segnale che avrebbe cambiato la storia del Paese.
L’inizio della sfida: Telebiella e la TV via cavo
Il 20 aprile 1971, Peppo Sacchi, ex regista Rai e mente visionaria, registrò al tribunale di Biella una testata dal nome curioso: Telebiella A-21 TV, giornale periodico a mezzo video. Sembrava un esperimento di provincia, e invece era la crepa nel muro del monopolio.
Sacchi aveva individuato una falla nella legge: il Regio Decreto del 1936 parlava di radio e telecomunicazioni, ma non di televisione via cavo. E così, nel 1972, partì la prima trasmissione ufficiale. Cavi che correvano tra i palazzi, microfoni arrangiati, e soprattutto una rivoluzione concettuale: per la prima volta, la gente del posto poteva vedersi e sentirsi rappresentata. Era nata una televisione dal basso, fatta di cronaca locale, volti comuni e tanta passione.
Ma lo Stato non gradì. Nel 1973 arrivò un nuovo Codice Postale che vietava le trasmissioni private, e il Ministro delle Poste ordinò l’immediata chiusura di Telebiella. Il 1° giugno, i tecnici del ministero tagliarono fisicamente il cavo dell’emittente. Ma quel gesto, pensato per spegnere un segnale, accese un incendio politico.
L’intervento del governo scatenò una crisi: Ugo La Malfa, leader repubblicano, protestò duramente, accusando il ministro di abuso di potere. In pochi giorni, il governo Andreotti II cadde. Biella, per un attimo, aveva mandato in tilt Roma.
La battaglia nei tribunali
Sacchi non si arrese. Anzi: trasformò la sconfitta in strategia. Si fece denunciare per violazione delle norme postali, portando la questione davanti alla Corte Costituzionale. La prima vittoria arrivò nel 1974, quando la Corte dichiarò illegittimo il monopolio statale sulla televisione via cavo locale. Era la prima breccia.
La seconda, nel 1976, fu una bomba (già spiegata nella nostra prima tappa delle tv locali in Lombardia): la Corte stabilì che anche le trasmissioni via etere potevano essere private, purché locali. Tradotto: la TV non era più un privilegio dello Stato. Chiunque, con un’antenna e un po’ di coraggio, poteva mettersi “on air“.
Questa sentenza fu un colpo di scena epocale. Per la prima volta, la Costituzione – quell’articolo 21 sulla libertà di espressione — si trasformò in una base per trasmettere, letteralmente.
Il far west televisivo
Dopo il 1976, l’Italia entrò in una nuova era: quella del far west dell’etere. Senza leggi chiare né limiti, chiunque poté occupare una frequenza. Nel giro di pochi anni nacquero centinaia di piccole TV: alcune artigianali, altre sostenute da editori importanti, fino ad arrivare ai colossi che avrebbero segnato il futuro, come la Fininvest di Silvio Berlusconi.
Era un caos creativo, un’anarchia luminosa fatta di antenne sui tetti, loghi improvvisati e palinsesti di quartiere. Ma da quel disordine nacque il pluralismo televisivo italiano.
Il Piemonte, e Biella in particolare, rimasero impressi come la culla di questa rivoluzione. Non solo per aver acceso la prima antenna libera, ma per aver dimostrato che una piccola città poteva cambiare una legge, sfidare lo Stato e aprire l’etere a un intero paese.
Data | Evento | Descrizione e Significato |
20/04/1971 | Registrazione di Telebiella | Registrazione della testata come “giornale periodico a mezzo video”, sfruttando una lacuna normativa. |
06/04/1972 | Inizio trasmissioni via cavo | Telebiella diventa la prima televisione privata italiana a trasmettere regolarmente. |
01/06/1973 | Oscuramento di Telebiella | Il Ministero delle Poste recide il cavo, applicando il nuovo Codice Postale e scatenando una crisi di governo. |
10/07/1974 | Sentenza Corte Cost. n. 225 | Viene dichiarata l’illegittimità del monopolio statale per le trasmissioni via cavo in ambito locale. |
28/07/1976 | Sentenza Corte Cost. n. 202 | Viene dichiarata l’illegittimità del monopolio statale anche per le trasmissioni via etere in ambito locale, dando il via al “Far West” televisivo. |
06/08/1990 | Legge Mammì n. 223 | Prima legge organica di regolamentazione del sistema radiotelevisivo pubblico e privato, che pone fine all’era della deregulation. |
Torino in onda: storie e scandali delle prime emittenti private (1976–1985)
Quando il segnale arrivò sotto la Mole e il Piemonte divenne una piccola Hollywood dell’etere
Dopo la storica sentenza del ’76, l’aria a Torino era elettrica. Bastava una telecamera, un’antenna e un po’ di coraggio per fondare una TV. Nel giro di pochi anni, la città si trasformò in un laboratorio continuo di idee, dialetti, programmi improbabili e rivoluzioni in diretta. Tra la fine dei settanta e i primi ottanta nacquero emittenti che oggi suonano come leggende urbane: Tele Torino International, GRP, Videogruppo, Telestudio e Quartarete. Ognuna con la sua anima, il suo pubblico e la sua missione: chi voleva conquistare l’Italia, chi voleva raccontare il proprio quartiere. Torino, all’improvviso, era la capitale delle antenne ribelli.
Tele Torino International (TTI) – Lo scandalo che aprì un impero
Agosto 1976. Mentre l’Italia scopriva le TV private, a Torino nasce TTI (…e non ci mette molto a far parlare di sé). Il 21 ottobre 1977 debutta Spogliamoci Insieme, un quiz show piccante destinato a fare epoca. Il pubblico lo ribattezza subito “lo spogliarello della casalinga”. Audace, sopra le righe e con un’audience da record, il programma fece scalpore da Nord a Sud e fece capire a tutti che la televisione privata non aveva intenzione di chiedere permesso.
L’enorme successo attira gli occhi (e i portafogli) del gruppo Agnelli: La Stampa compra TTI nel 1978, ma l’esperimento non convince Gianni Agnelli, che liquidò l’avventura con una frase rimasta negli annali: “Non è il nostro mestiere“. Nel 1979, la rete passa nelle mani di Silvio Berlusconi, che la trasforma in una pedina strategica del suo nascente impero televisivo. TTI smette di essere una TV locale e diventa un tassello di Canale 5.
Fine di un’epoca, ma anche inizio di un modello: da ribellione di provincia a business nazionale.
GRP Televisione – La voce del Piemonte
Se TTI puntava al mercato, GRP scelse il cuore. Nata anch’essa nel 1976 grazie a Stelio Cassano d’Altamura, si presentava come Giornale Radio Piemonte, ma presto si fece conoscere come una vera e propria televisione di comunità.
Il suo telegiornale, Monitor, diventò un’istituzione, mentre programmi come Orgoglio Granata consolidarono un legame profondo con la città e la sua squadra. GRP non parlava “al” Piemonte: parlava come il Piemonte. Dalle cronache di provincia alle feste di paese, era la TV che dava voce alla gente.
E poi, la fucina di talenti: Piero Chiambretti, Alba Parietti, Maria Teresa Ruta, Sarah Varetto, tutti passati da lì, prima di esplodere nei grandi network nazionali (ma sui VIP che non erano ancora VIP ci torneremo).
Oggi GRP continua a trasmettere, con il nome GRP Veratv, dopo quasi cinquant’anni di storia: un record di resilienza nel mondo delle TV locali italiane.
Videogruppo – Dall’inchiesta al varietà (e un po’ di MTV)
Videogruppo è la storia di chi non ha mai smesso di reinventarsi. Le sue radici affondano nel 1974 con TelePino, una TV via cavo nata a Pino Torinese per iniziativa dell’ingegnere Sergio Rogna Manassero. Dopo la liberalizzazione, l’emittente cambia nome e parte ufficialmente nel 1976.
In origine, era una TV d’impegno civile: reportage, inchieste, storie di fabbriche e comunità locali. Poi, col passare degli anni, Videogruppo si apre all’intrattenimento, diventa un punto di riferimento per la musica e persino una finestra regionale di MTV negli anni ’90.
Nel 2007 entra a far parte del gruppo Mediapason (gli stessi di Telelombardia e Antenna 3) e porta in Piemonte programmi cult come QSVS – Qui Studio a Voi Stadio. È la prova che anche una TV locale può sopravvivere, purché sappia evolversi: da emittente di quartiere a tassello di un network regionale.
Telestudio e Quartarete TV – Le voci popolari e l’innovazione torinese
Telestudio, fondata nel 1976 da Pino Barberi, fu la più popolare delle TV torinesi. Si definiva “un giornale televisivo del popolo” e lo era davvero: informazione, musica, rubriche leggere e volti destinati a diventare iconici. Da lì passò un giovanissimo Ezio Greggio, che conduceva Promoshow, e trovò spazio Gipo Farassino, simbolo dell’anima culturale piemontese. Dopo decenni di alti e bassi, l’avventura di Telestudio si è chiusa nel 2022, lasciando un vuoto enorme nella memoria televisiva locale.
Un’altra colonna fu Quartarete TV, nata nel 1979. Informazione, sport e tanta Torino: il suo TG4 e i programmi dedicati alle squadre cittadine erano appuntamenti fissi. Ma Quartarete guardava anche avanti: sperimentò coproduzioni tra emittenti regionali e partecipò alla nascita di Stream TV, uno dei primi progetti di televisione satellitare in Italia.
La sua storia si è spenta nel 2017 con l’addio al digitale terrestre, ma non del tutto: ha continuato a vivere online, come molte delle sue sorelle piemontesi che hanno trovato nella rete una nuova frequenza.
Da questa stagione pionieristica nacque un vero e proprio ecosistema mediatico piemontese, capace di fondere coraggio imprenditoriale, talento locale e una buona dose di follia creativa. Torino, che per decenni era stata la città dell’auto e della fabbrica, divenne anche la città delle telecamere, dei microfoni e delle sigle improvvisate.
Per la prima volta, l’informazione non scendeva dall’alto: saliva dal basso, dai cortili, dai bar, dalle voci della gente.
Piccole reti, grandi anime: le TV delle province piemontesi (1976–1985)
Non tutta la rivoluzione televisiva piemontese passava per Torino.
Mentre sotto la Mole si costruivano studi, telegiornali e show da prima serata, nelle province si muoveva un’altra corrente, più silenziosa ma profondissima: quella delle TV di comunità. Emittenti nate tra cascine, sagre e mercati, con un obiettivo chiarissimo: raccontare il territorio senza filtri, con la lingua, i ritmi e la musica della propria gente.
Cuneo, Alessandria, Novara, Vercelli: ognuna con la sua voce, la sua antenna e la sua storia.
Telecupole – La TV che ballava col suo pubblico
Cavallermaggiore, primavera del 1979. Da un locale da ballo chiamato Le Cupole nasce Telecupole, l’idea visionaria dell’imprenditore Pietro Maria Toselli.
Fin dal primo giorno è chiaro: questa non sarà una TV come le altre. Niente palinsesti patinati, niente format importati da Milano. Telecupole sceglie di raccontare la vita vera: i mercati rionali, le sagre di paese, il teatro dialettale e la musica da ballo, con programmi iconici come L mercâ ‘dla smâna, Scacciapensieri e Ballando le Cupole.
Mentre il resto d’Italia correva verso il modernismo televisivo, Telecupole decide di restare con i piedi nella terra, anzi: nella sua terra. E funziona. Perché chi si riconosceva in quei ritmi, in quelle facce e in quella lingua trovava finalmente un canale che parlava la propria lingua, letteralmente.
Il risultato? Una fedeltà assoluta del pubblico. Nel 2016 Telecupole è la TV più seguita del Piemonte, davanti anche alle torinesi storiche. È la prova che l’autenticità, quando è sincera, batte qualsiasi format costruito a tavolino.
Le Province in onda – Quando il Piemonte scoprì la sua voce
Prima ancora che la legge lo consentisse davvero, in tutto il Piemonte erano già spuntate piccole TV via cavo: Tele Ivrea, Tele Alessandria, Tele Vercelli.
Esperimenti artigianali, certo, ma pieni di entusiasmo e voglia di partecipare.
Dopo la liberalizzazione del ’76, anche Alessandria si accende con una delle realtà più storiche: Telecity.
Fondata nel dicembre 1976 a Castelletto d’Orba da Giorgio Tacchino, nasce (come molte delle sue coetanee) da un luogo simbolo della vita notturna dell’epoca: la discoteca La Rotonda. Il suo DNA è un mix irresistibile di musica, spettacolo e cronaca di provincia. Dalla disco al liscio, dai film ai cartoni animati, Telecity diventa presto una piccola rete generalista per il Piemonte e la vicina Liguria. La sua forza è la leggerezza, la capacità di mescolare informazione e divertimento senza mai prendersi troppo sul serio.
L’altra rivoluzione: la TV che nasce dalla comunità
Le esperienze di Telecupole e Telecity dimostrano che la vera sfida delle TV locali non era “fare concorrenza” ai grandi network, ma rappresentare chi non si sentiva rappresentato. Nessuna di queste emittenti puntava a conquistare l’Italia: volevano soltanto dare voce ai territori, ai dialetti, alle storie minori. E proprio lì sta il segreto della loro longevità.
Il Piemonte degli anni ’80 aveva due anime televisive:
- quella urbana e industriale, guidata da Torino e dai suoi pionieri;
- popolare e rurale, fatta di sagre, orchestre, e TG che aprivano con il meteo delle vallate.
Entrambe, però, avevano lo stesso obiettivo: spezzare il monopolio culturale e ridare la parola alla gente.
La TV dal basso: il Piemonte che parlava alla sua gente (1976–1985)
Le TV locali piemontesi aiutarono a cambiare il linguaggio della televisione. Da Torino a Cuneo, quelle emittenti inventarono un nuovo modo di fare TV: più diretto, più vicino, più umano. Una TV che non si guardava dall’alto verso il basso, ma dal cortile verso il mondo.
L’informazione sotto casa
Il segreto del loro successo? Parlare la lingua della gente. Approfondiamo un particolare che abbiamo già nominato pocanzi, telegiornali come Monitor di GRP o Videonotizie di Videogruppo erano la voce quotidiana del territorio: niente distacco, niente toni impostati, ma volti conosciuti e storie riconoscibili. Il Piemonte vero (quello dei mercati, delle fabbriche, delle piazze) finalmente finiva in TV.
GRP aveva persino redazioni sparse tra Torino, Cuneo, Asti e Alessandria: un piccolo network regionale ante litteram. Videogruppo, invece, puntava su inchieste e approfondimenti sociali, andando dove le telecamere “grandi” non arrivavano. Era una televisione che ti raccontava il vicino di casa, non il ministro a Roma.
L’intrattenimento: pop, folle e geniale
Liberate dai freni della TV di Stato, le emittenti private piemontesi furono un laboratorio creativo senza precedenti. Se tra le mura di TTI nasceva Spogliamoci Insieme, il quiz più scandaloso d’Italia, mentre altrove andavano in onda giochi a premi casalinghi, talk con telefonate in diretta e show musicali che mescolavano orchestre e dialetto.
Due generi, però, divennero irresistibili: lo sport e la tradizione. Orgoglio Granata e i talk juventini di Quartarete facevano ascolti altissimi e riempivano i bar di discussioni. Dall’altra parte, Telecupole diventava la regina del liscio, delle sagre e del folklore: la TV che sapeva ballare, cantare e raccontare i paesi del Piemonte.
La palestra dei talenti
Ma la vera magia delle TV locali piemontesi è che furono una fucina di stelle.
Da quegli studi spesso improvvisati uscirono volti che avrebbero fatto la storia della televisione italiana:
- Alba Parietti, diva in formazione tra GRP e Videogruppo;
- Piero Chiambretti, il genio irriverente dei microfoni torinesi;
- Ezio Greggio, scoperto da Peppo Sacchi a Telebiella e poi lanciato da Telestudio;
- Maria Teresa Ruta, presenza brillante di GRP e Telestudio;
- e perfino figure cult come il Mago Gabriel e Ramona Dell’Abate.
Fu da questo vivaio che Silvio Berlusconi, nei primi anni ’80, pescò linguaggi e volti per costruire la sua Fininvest: la anti-RAI nazionale nata proprio dalle idee, dai format e dall’energia delle TV locali. Quelle piccole emittenti, nate per parlare al quartiere, finirono così per cambiare il modo di fare televisione in tutta Italia.
Crisi, resistenza e rivoluzione digitale: la lunga battaglia delle TV piemontesi (1990–2010)
Dopo l’entusiasmo selvaggio degli anni pionieristici, per le televisioni locali piemontesi arrivò il momento più duro: quello della selezione naturale. Dagli anni ’90 in poi, leggi, crisi economiche e rivoluzioni tecnologiche cambiarono tutto. Quella che era nata come una corsa all’oro dell’etere divenne, in pochi anni, una corsa a ostacoli.
La legge Mammì: fine del far west televisivo
Nel 1990 il Parlamento mise fine alla giungla. La Legge Mammì arrivò per mettere ordine in un sistema caotico, fatto di centinaia di emittenti, antenne improvvisate e frequenze sovrapposte. Per la prima volta si fissavano regole chiare: concessioni, limiti alla proprietà, norme sulla pubblicità. Era il primo tentativo serio di far convivere RAI e privati nello stesso ecosistema.
Ma quella che sembrava una vittoria della modernità si rivelò un colpo basso per i piccoli editori. Le nuove regole portarono costi, burocrazia e adempimenti impossibili da sostenere per chi viveva di pubblicità locale e di tanta passione. Il Far West era finito, sì, ma a rimanere in piedi furono solo i più strutturati.
Pubblicità in fuga: la crisi dei mobilifici
Negli anni ’80 e ’90, i veri finanziatori delle TV locali erano le piccole imprese, e soprattutto i mobilifici: vi state chiedendo il perché? con i loro spot martellanti, i jingle impossibili da dimenticare e testimonial improvvisati, erano diventati protagonisti dell’etere piemontese.
Ma poi arrivarono i colossi. Publitalia ’80, la concessionaria di Berlusconi, rivoluzionò il mercato pubblicitario drenando budget e clienti verso i network nazionali. Il risultato? I soldi sparirono dal territorio. Le TV locali, che si reggevano su quel fragile equilibrio tra botteghe e sponsor di quartiere, cominciarono a perdere ossigeno. E molte, semplicemente, non si ripresero più.
Il trauma del digitale: lo “switch-off” che fece più male del previsto
Tra il 2009 e il 2010 arrivò l’ultimo grande terremoto: il passaggio al digitale terrestre. Sulla carta sarebbe dovuta essere una rivoluzione tecnologica, un salto nel futuro. Nella realtà, per molte emittenti piemontesi fu una catastrofe. Lo switch-off obbligò tutte le TV ad aggiornare impianti, antenne e trasmettitori. Investimenti enormi, proprio nel momento in cui gli introiti pubblicitari erano ai minimi.
E come se non bastasse, la geografia del Piemonte – montagne, valli, zone d’ombra – rese il passaggio un incubo tecnico. Intere comunità si ritrovarono senza segnale, proprio dove la TV locale aveva sempre rappresentato il primo contatto con l’informazione.
Nei primi anni del digitale sembrava ci fosse spazio per tutti: GRP arrivò ad avere sei canali, Telecupole creò un canale “vintage” e Videogruppo tentò la strada del multicanale. Ma poi la festa finì.
Con la liberazione della banda 700 MHz nel 2022, le frequenze vennero ridotte per fare posto alla telefonia mobile. Risultato: meno spazio, più costi, e tante chiusure. Telestudio e Quartarete scomparvero, altre emittenti furono costrette a ridimensionarsi o a farsi “ospitare” da operatori più grandi.
Il digitale, che doveva salvare tutto, si rivelò l’acceleratore della crisi. L’età dell’oro delle TV locali si chiudeva così: tra frequenze tagliate, palinsesti ridotti e un pubblico ormai diviso tra smartphone e streaming. Era la fine della spontaneità, ma anche l’inizio di una nuova sfida: capire come sopravvivere nell’era in cui la televisione, paradossalmente, non passa più solo per la TV.
La scintilla Piemontese non si è mai spenta
La storia delle TV locali piemontesi è il punto d’origine della libertà televisiva nel nostro Paese.
Da una piccola città come Biella partì una rivoluzione che ribaltò il monopolio RAI e riscrisse le regole del gioco. Quella scintilla accesa da Peppo Sacchi e da Telebiella fu un atto di libertà: il momento in cui un territorio disse “vogliamo raccontarci da soli“.
Da lì nacque tutto: la TV dal basso, l’informazione di quartiere, le sigle improvvisate, i talenti scovati nei corridoi di redazioni piene di fumo e passione. Il Piemonte non fu solo testimone, fu laboratorio. Qui si formarono i volti, i linguaggi e i format che avrebbero poi conquistato le reti nazionali. Qui la TV smise di essere istituzione e diventò partecipazione.
Oggi il panorama è completamente cambiato, le grandi battaglie legali sono un ricordo, e il digitale ha imposto una selezione durissima. Molte storiche emittenti sono scomparse, altre hanno trovato rifugio in gruppi più grandi o si sono reinventate online. GRP VERATV, Telecupole e Videogruppo resistono, ma tra televendite, palinsesti ridotti e concorrenza spietata dei social, la loro missione è diventata più fragile che mai.
Eppure, qualcosa di quella stagione pionieristica è rimasto. Il futuro della TV regionale, forse, passa proprio da lì: tornare alle radici, riscoprire la comunità, e continuare a essere lo specchio del proprio pubblico.
La scintilla piemontese che cambiò l’Italia non si è spenta. Si è solo trasformata, pronta – ancora una volta – a reinventarsi.
Emittente | Anno Fondazione | Fondatore/i | Sede Originaria | Status Attuale / Destino |
Telebiella | 1971/72 | Giuseppe “Peppo” Sacchi | Biella | Acquisita, poi fallita. Marchio ancora attivo. |
Tele Torino Int. | 1976 | Silvano/Frediani | Torino | Assorbita da Canale 5 (1981) |
GRP Televisione | 1976 | Stelio Cassano d’Altamura | Torino | Attiva (come GRP VERATV) |
Videogruppo | 1974/76 | Sergio Rogna Manassero | Pino Torinese / Torino | Attiva (parte del Gruppo Mediapason) |
Telestudio | 1976 | Pino Barberi | Torino | Chiusa (2022) |
Quartarete TV | 1979 | Davide Boscaini et al. | Torino | Chiusa (2017) |
Telecupole | 1979 | Pietro Maria Toselli | Cavallermaggiore (CN) | Attiva |
Infine, vi mostriamo una selezione delle principali emittenti nella distribuzione attuale in chiaro, sul digitale terrestre.
Operatore di Rete (Mux) | LCN | Marchio Emittente | Note |
Eitowers Piemonte | 10 | Telecity Piemonte | FTA (HDTV)* |
11 | TELECUPOLE | FTA (HDTV) | |
12 | VideoGruppo | FTA (HDTV) | |
13 | RETE 7 HD | FTA (HDTV) | |
14 | Primantenna | FTA (HDTV) | |
15 | GRP TV | FTA | |
16 | Sesta Rete | FTA | |
17 | VCO AZZURRA TV | FTA (HDTV) | |
Raiway Piemonte | 73 | RADIO BRUNO Piemonte | FTA (HDTV) |
83 | PIEMONTE+ HD | FTA (HDTV) | |
84 | TELEREPORTER | FTA | |
87 | RBE-TV | FTA | |
Open Area | 77 | 6SRNEWS | FTA |
85 | LOMBARDIA TV | FTA (HDTV) | |
88 | STUDIOPIU’ ON AIR | FTA (HDTV) | |
91 | VALPADANA TV | FTA (HDTV) |
*FTA sta per “Free-to-Air”, ovvero canali trasmessi liberamente in chiaro, senza bisogno di abbonamenti.