Le forze dietro la sospensione del ‘Jimmy Kimmel Live!’: il caso che scuote la libertà di parola in America
Jimmy Kimmel

Dalla pressione delle affiliate alle minacce della FCC: la sospensione di Jimmy Kimmel Live! diventa il simbolo di un nuovo “manuale della censura” che riscrive le regole della satira politica in tv.

La sospensione del Jimmy Kimmel Live! esplosa nelle ultime ore è diventata un caso di primo piano – e non certo in senso positivo – dentro al panorama mediatico americano.

Non si parla solo delle battute controverse di un comico: qui siamo davanti a un esempio perfetto di come si intreccino il peso dei grandi network, la spaccatura politica sempre più marcata, le pressioni dal governo e pure le nuove regole del gioco economico che c’è dietro la tv tradizionale.

Un mix esplosivo che ha creato la classica “tempesta perfetta: troppi fattori insieme hanno schiacciato ABC/Disney, costringendola a sacrificare una delle sue star di punta come mossa più rapida e indolore per uscire dall’impasse.

Jimmy Kimmel Live

Il catalizzatore e la cascata

Ricostruiamo l’episodio che ha fatto scoppiare la miccia e la catena di eventi che ne è seguita, ponendo le basi per tutto il resto dell’analisi.

Il monologo e l’uomo: il contesto e il contenuto

Il personaggio: Charlie Kirk

Per capire il polverone che si è alzato, bisogna prima delineare chi era Charlie Kirk. Attivista conservatore tra i più noti e divisivi, co-fondatore di Turning Point USA e figura di spicco del movimento “Make America Great Again” (MAGA), Kirk aveva fatto della sua carriera una crociata nei campus universitari, diventati per lui il campo di battaglia delle “guerre culturali”. Il suo assassinio durante un evento universitario non poteva che trasformarsi in una scintilla politica potentissima: Kirk era il simbolo di un’America divisa, e la sua figura era legata a doppio filo al progetto trumpiano di mettere sotto pressione il mondo accademico.

Le parole

Il nodo della vicenda sta nel monologo di Jimmy Kimmel, andato in onda lunedì 15 settembre 2025. Qui il conduttore ha sganciato una frase che ha fatto esplodere la polemica:

Abbiamo toccato nuovi minimi durante il fine settimana con la banda MAGA che ha cercato disperatamente di caratterizzare questo ragazzo che ha ucciso Charlie Kirk come qualcosa di diverso da uno di loro e facendo di tutto per ottenere punti politici.

Un passaggio che collegava in modo diretto l’assassino alla “banda MAGA” e che è diventato il cuore dello scontro. Kimmel non si è fermato lì: ha accusato il vicepresidente JD Vance di aver puntato il dito contro la sinistra senza prove concrete e ha persino ridicolizzato la reazione di Donald Trump alla morte di Kirk, paragonandola al pianto di “un bambino di 4 anni per il suo pesciolino rosso”. Una battuta pesantissima che ha trasformato un commento politico in un insulto personale, accendendo ulteriormente la miccia.

 

Tutto in 48 ore

Con questa ricostruzione cronologica chiara degli eventi da lunedì 15 a mercoledì 17 settembre, vediamo la rapida escalation che ha portato alla sospensione dello show di Kimmel.

Data/Ora (Sett. 2025) Attore Chiave Evento/Azione Significato e Fonti
15 Sett. (Lunedì) Jimmy Kimmel Pronuncia il monologo iniziale in cui collega l’assassino di Charlie Kirk al movimento MAGA. L’evento scatenante che ha dato inizio alla controversia.
17 Sett. (Mercoledì, Mattina) Brendan Carr (Presidente FCC – Federal Communications Commission. Trad. Commissione Federale per le Comunicazioni) Appare in un podcast di destra, definisce i commenti di Kimmel “la condotta più disgustosa possibile” e minaccia azioni normative contro ABC e le sue affiliate. Prima indicazione di una pressione governativa diretta e di alto livello.
17 Sett. (Mercoledì, Pomeriggio) Nexstar Media Group Rilascia un comunicato stampa formale in cui annuncia che le sue 23 affiliate ABC anticiperanno la programmazione del Jimmy Kimmel Live! “per il prossimo futuro”, definendo i commenti “offensivi e insensibili”. La rivolta delle affiliate inizia, creando una significativa pressione finanziaria e logistica su ABC.
17 Sett. (Mercoledì, Pomeriggio) Sinclair Broadcast Group Annuncia che anche le sue affiliate anticiperanno la programmazione dello show e trasmetteranno invece un tributo a Kirk. Un altro importante gruppo di affiliate si unisce alla protesta, intensificando la pressione su ABC.
17 Sett. (Mercoledì, Sera) ABC Annuncia la sospensione a tempo indeterminato e a livello nazionale del Jimmy Kimmel Live!, affermando che lo show sarà “sostituito da altra programmazione a tempo indeterminato”. La decisione finale della rete, che cede alle pressioni combinate.
17 Sett. (Mercoledì, Sera) Pubblico dello show Le persone in fila per la registrazione vengono informate che lo show della serata è stato cancellato. La manifestazione fisica e immediata della decisione della rete.
17 Sett. (Mercoledì, Notte) Presidente Donald Trump Celebra la sospensione su Truth Social, definendola “una grande notizia per l’America”. La reazione della Casa Bianca conferma la dimensione politica della sospensione.

I protagonisti del potere: tra interessi e manovre

Dopo aver visto cosa è successo, passiamo al perché, ovvero i motivi e le strategie dei grandi attori che hanno spinto per la sospensione del Jimmy Kimmel Live!.

La rivolta delle affiliate: il peso di Nexstar e Sinclair

Come funziona la tv americana

Negli Stati Uniti le grandi reti nazionali (tipo ABC) non controllano direttamente tutte le stazioni: dipendono dalle cosiddette affiliate, cioè stazioni locali spesso possedute da colossi come Nexstar o Sinclair. Queste affiliate hanno un potere enorme: per legge (sezione § 73.658(e) della FCC) possono rifiutare programmi che considerano “inadatti” o “non nell’interesse pubblico”. Ed è proprio questa regola che è stata usata per scaricare Kimmel.

La mossa di Nexstar

Nexstar, il più grande gruppo di tv locali d’America (oltre 200 stazioni, 220 milioni di persone raggiunte), è stato il primo a muoversi. Ufficialmente, ha definito i commenti di Kimmel “offensivi e insensibili, spiegando che non potevano più essere mandati in onda “nell’interesse pubblico”. Ma dietro la facciata, c’era molto altro.

In quei giorni Nexstar cercava infatti l’ok della FCC – Federal Communications Commission (trad. Commissione Federale per le Comunicazioni) – guidata da un alleato di Trump – per una maxi-fusione da 6,2 miliardi di dollari con il concorrente Tegna. E guarda caso, lo stesso presidente della FCC, Brendan Carr, aveva appena minacciato pubblicamente il programma di Kimmel. Per Nexstar, quindi, sacrificare il comico significava “togliere un problema dal tavoloe mandare un segnale di fedeltà all’amministrazione. Il richiamo all’“interesse pubblico” è servito solo come copertura legale: la vera partita era proteggere un affare miliardario.

Il fattore Sinclair

Anche Sinclair ha fatto la sua parte: non solo ha tolto Kimmel dai palinsesti, ma lo ha sostituito con uno speciale-tributo a Charlie Kirk. Un segnale ancora più forte di allineamento ideologico. In più, ha colto la palla al balzo per chiedere alla FCC nuove regole che riducessero il potere delle reti nazionali a vantaggio proprio delle affiliate. Insomma: non solo una presa di posizione politica, ma anche un’occasione di lobbying.

Il regolatore in campo: Brendan Carr e la FCC

Chi è Brendan Carr

Brendan Carr non è un burocrate neutrale: è un repubblicano di lunga data, cresciuto all’ombra di Ajit Pai (altro presidente FCC nominato da Trump). Nel 2025 è stato promosso proprio da Trump a presidente della FCC. Con questo background, è chiaro che non agiva da “arbitro super partes”, ma come un giocatore schierato.

brendan carr

La minaccia

Le sue parole sono state chiarissime: ABC e Disney potevano “fare le cose nel modo facile o difficile”, e se non avessero agito contro Kimmel sarebbero arrivate multe, controlli e persino la minaccia estrema della revoca delle licenze. In pratica, un avvertimento mafioso in versione istituzionale.

La strategia legale (o quasi)

Formalmente Carr si rifaceva alla regola dell’“interesse pubblico”, ma usarla per punire una satira politica è un terreno legale fragilissimo. Non a caso, l’unica commissaria democratica della FCC, Anna Gomez, ha parlato apertamente di “abuso di potere per zittire opinioni legittime”. Ma Carr non puntava a vincere in tribunale: puntava al cosiddetto jawboning, cioè spaventare abbastanza l’azienda da costringerla all’autocensura. L’obiettivo era rendere più costoso difendere Kimmel che sospenderlo: meno cause, meno rischi per le fusioni, meno conflitti col governo.

Il dilemma dentro ABC e Disney

Un’azienda sotto pressione

La scelta finale di ABC e della sua casa madre, Disney, va letta nel contesto di tre pressioni simultanee:

  • Affiliate: con Nexstar e Sinclair in rivolta, lo show non sarebbe stato visto in molti mercati chiave, perdendo valore pubblicitario.
  • Regolatore: la FCC minacciava sanzioni proprio mentre Disney aveva altre operazioni sensibili in ballo, come l’acquisizione di diritti sportivi.
  • Politica: lo stesso presidente degli Stati Uniti aveva condannato pubblicamente Kimmel.

La scelta “indolore”

A quel punto, la sospensione del programma è stata la mossa più semplice. Disney/ABC non hanno nemmeno dato spiegazioni dettagliate: si sono limitati a dire che lo show sarebbe stato “sostituito a tempo indeterminato”. Silenzio calcolato, molto diverso dalle dichiarazioni roboanti delle affiliate.

Perché? Perché combattere significava aprire tre fronti contemporanei: aziende partner, governo e regolatore. Una guerra troppo costosa. Sospendere lo show è stato un sacrificio rapido, che ha spento l’incendio senza intaccare altre priorità aziendali. Non è la prima volta che accade: sia Disney che Paramount in passato hanno preferito chiudere contenziosi con Trump piuttosto che combatterli in tribunale. La linea è chiara: arretrare su un singolo caso per proteggere interessi più grandi.

Il contesto più ampio

Per capire davvero cosa significa il caso Kimmel, bisogna allargare lo sguardo: non si tratta di un episodio isolato, ma parte di una storia più lunga fatta di precedenti, pressioni e trasformazioni del late-night.

Echi del passato: conflitti e cancellazioni nel late-night

Il caso Colbert (2025)

Il paragone più vicino è quello di Stephen Colbert, cancellato dalla CBS appena due mesi fa. Ufficialmente, la rete ha parlato di “scelta puramente finanziaria: il Late Show perdeva 40 milioni di dollari l’anno su un budget di 100. Ma in molti, incluso lo stesso Kimmel, sospettano che dietro ci fosse ben altro.

La cancellazione è arrivata poco dopo che la società madre, Paramount, aveva chiuso una causa con Trump e ottenuto il via libera dalla FCC per la fusione con Skydance. Uno schema chiaro: un conduttore apertamente anti-Trump viene tolto di mezzo, la rete tira fuori motivazioni economiche, ma tutto coincide con affari delicati da sistemare con Washington. Il caso Kimmel sembra la naturale prosecuzione di questo copione, con la differenza che qui la pressione della FCC è stata plateale e pubblica.

 

Il caso Maher (2002)

C’è poi un precedente storico: la cancellazione di Politically Incorrect di Bill Maher, sempre su ABC, nel 2002. Maher era finito nella bufera per aver definito i terroristi dell’11 settembre “non codardi, al contrario degli USA che lanciavano missili “da 2000 miglia di distanza”.

La frase scatenò un boicottaggio degli inserzionisti e la fuga delle affiliate. Ma lì la spinta veniva dalla piazza e da un clima di unità nazionale, con tanto di condanna pubblica della Casa Bianca di Bush. Il caso Kimmel, invece, nasce da un intervento diretto di un organo federale, in un contesto iper-partigiano. Ironia della sorte: lo show che prese il posto di Maher nel 2003 fu proprio il Jimmy Kimmel Live!.

Le guerre del late-night (Leno, Letterman, Conan)

Vale la pena ricordare che i grandi scontri storici tra Jay Leno, David Letterman e Conan O’Brien erano guerre interne: ascolti, orari, strategie di rete. Nulla a che vedere con pressioni politiche esterne. È proprio questa la differenza che rende il caso Kimmel senza precedenti: per la prima volta un regolatore federale è entrato a gamba tesa dentro un conflitto di late-night.

Oltre la politica: le nuove sfide economiche della tv di seconda serata

La guerra degli ascolti

Per pesare l’accusa di Trump secondo cui Kimmel era “a corto di ascolti”, serve guardare ai numeri veri del late-night nel 2025. Ed è qui che si vede come il problema non sia solo politico, ma anche economico: la televisione a tarda sera vive una crisi strutturale, con cali di pubblico generalizzati e un modello sempre più difficile da sostenere.

Programma Spettatori Totali Medi Q2 2025 Spettatori Medi Demo 18-49 Q2 2025 Spettatori Totali Medi Sett. 2025 Entrate Pubblicitarie (Lug ’24-Lug ’25)
The Late Show with Stephen Colbert (CBS) 2.42 milioni 219,000 2.81 milioni $59.9 milioni
Jimmy Kimmel Live! (ABC) 1.77 milioni 220,000 1.10 milioni $46.0 milioni
The Tonight Show Starring Jimmy Fallon (NBC) 1.19 milioni 157,000 1.33 milioni $80.2 milioni

Analisi della salute finanziaria

I numeri raccontano una storia meno netta di quanto sembri. The Late Show di Colbert era costantemente in testa per spettatori totali, ma il Jimmy Kimmel Live! giocava forte dove contava di più: nella fascia 18-49 anni, quella che gli inserzionisti guardano per decidere dove mettere i soldi. A settembre, è vero, Kimmel era sceso al terzo posto per pubblico complessivo, ma restava un asset prezioso grazie al suo appeal nei giovani adulti.

Sul fronte economico, lo show ha portato ad ABC circa 46 milioni di dollari di pubblicità negli ultimi 12 mesi. È meno dei concorrenti e segnava un calo del 16% rispetto all’anno prima, ma parliamo comunque di un flusso di ricavi importante.

Insomma: non era un titolo in salute perfetta, ma neppure un buco nero finanziario. E questo rende ancora più evidente che le vere spinte alla sospensione non fossero di natura economica, ma politica e regolatoria.

Tendenze più ampie

Il quadro generale è ancora più chiaro guardando l’intero settore. Negli ultimi anni, la pubblicità nel late-night è crollata: dai 439 milioni di dollari del 2018 ai 221 milioni del 2024. Un dimezzamento secco.

In un contesto così fragile, le reti sono diventate molto più prudenti e allergiche al rischio. Significa che basta una polemica grossa per trasformare un programma da risorsa a problema: con margini così ridotti, resistere alle pressioni costa troppo, e cedere diventa spesso la via più semplice.

Le conseguenze e le implicazioni

Il caso Kimmel non si è chiuso con la sua sospensione: ha scatenato una valanga di reazioni e solleva interrogativi pesanti sul futuro della libertà di parola e della tv americana.

Un Paese spaccato: i sindacati di Hollywood (WGA & SAG-AFTRA)

Gli scrittori e gli attori, tramite i loro sindacati (WGA e SAG-AFTRA), hanno parlato senza mezzi termini: questa non è stata solo una sospensione, ma un atto di “vigliaccheria aziendale” e di “soppressione” che mette a rischio le libertà di tutti. La WGA West ha ricordato che disturbare e dissentire fa parte del cuore stesso della democrazia.

I difensori della libertà di parola

Organizzazioni come la ACLU e la FIRE hanno definito la decisione una resa pericolosa alla pressione politica: “Non possiamo essere un paese in cui i conduttori di talk show vanno avanti o indietro a seconda dell’umore del presidente”.

La politica

Il fronte politico si è spaccato di netto. I Democratici – da Gavin Newsom a Elizabeth Warren – hanno gridato alla censura e a un attacco coordinato alla libertà di parola da parte della Casa Bianca. Trump, invece, ha esultato: “Una grande notizia per l’America”, ha detto, lodando il “coraggio” di ABC.

 

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I colleghi comici

Il mondo della comicità ha reagito con rabbia. Comici come Mike Birbiglia e Wanda Sykes hanno denunciato l’episodio come un attacco all’intera categoria: se oggi può toccare a Kimmel, domani può toccare a chiunque.

L’effetto raggelante: un manuale della censura

L’impatto più pesante di questa storia non è la sospensione in sé, ma ciò che insegna: un vero e proprio “manuale della censura” che funziona senza bisogno di leggi. Il copione è sempre lo stesso:

  1. Un conduttore attacca l’amministrazione.
  2. Un regolatore vicino al potere minaccia interessi economici molto più grandi (fusioni, affari miliardari).
  3. Le affiliate locali, con i loro interessi regolatori, si accodano.
  4. La società madre, sotto pressione da tutti i fronti, sacrifica il conduttore.

Così il Primo emendamento resta formalmente intatto: nessuno viene censurato “per legge”, ma le pressioni diventano talmente insostenibili che le aziende finiscono per censurarsi da sole.

E questo è il vero pericolo: dopo casi come Colbert e Kimmel, le grandi società di media saranno molto più caute nel permettere ai loro talenti di criticare apertamente un’amministrazione ostile. Per paura di perdere fusioni o contratti, preferiranno toni più soft, meno politica e meno satira. Risultato? Uno spazio di libertà più stretto, ottenuto non con leggi liberticide, ma con la combinazione di minacce normative e interessi aziendali.

Il futuro della satira in una tv sempre più fragile

La sospensione del Jimmy Kimmel Live! non è stato un fulmine a ciel sereno, ma il risultato di una combinazione micidiale: il potere delle affiliate locali, le pressioni dirette della politica e la scelta delle aziende di evitare rischi a tutti i costi.

Questo caso ha messo a nudo quanto sia diventata fragile la satira politica in un’epoca in cui i grandi gruppi mediatici sono esposti e vulnerabili a ogni spinta esterna.

Il punto è chiaro: quando libertà di parola e interessi aziendali entrano in collisione, vincono quasi sempre i secondi. E con un’amministrazione pronta a usare tutte le leve possibili, lo spazio per la satira si restringe ancora di più. La domanda che resta aperta è se i media mainstream avranno ancora la forza (e il coraggio) di essere un vero contrappeso al potere politico, o se finiranno per auto-limitarsi sempre di più, lasciando il terreno della critica a voci meno esposte ma anche meno incisive.

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