Il Mostro, la verità scivola e Netflix si affida a un maestro del genere per riflettere l’incertezza

Il Mostro su Netflix ripercorre le origini di uno dei casi più sconvolgenti della Storia italiana. Nessuna risposta, nessuna soluzione: Stefano Sollima e Leonardo Fasoli aderiscono alla realtà dei fatti e rinunciano ad alcune regole delle serie tv preferendo un caso di volti non (ancora) noti e un clima di spaesamento che determina la vera inquietudine

Netflix compie dieci anni e proprio nel giorno del decimo anniversario del debutto tricolore (era il 22 ottobre 2015) si regala e regala ai suo abbonati una miniserie nel solco della tradizione: Il Mostro è la nuova produzione made in Italy del colosso statunitense, che si avvicina ancora di più al pubblico italiano raccontando una storia tremenda, mai del tutto chiusa, che è entrata nella pelle del nostro Paese. Un modo, verrebbe da pensare, per far sentire Netflix “parte” del tessuto storico e sociale italiano. E, ormai, si può dire che sia così. Ma andiamo nel dettaglio.

La trama de Il Mostro su Netflix

@unshow.it Il Mostro arriva su Netflix: la miniserie diretta da Stefano Sollima esplora uno dei casi italiani più intricati e ancora oggi avvolto nel mistero. Lo vedrai? #serietv ♬ suono originale - Unshow.it

La sinossi rilasciata da Netflix per i quattro episodi della miniserie è stringata e cruda: “Otto duplici omicidi. Diciassette anni di terrore. Sempre la stessa arma: una Beretta calibro 22″. Il Mostro racconta “una delle più lunghe e complesse indagini italiane sul primo e più brutale serial killer della storia del Paese: il Mostro di Firenze”.

Una storia, continua la sinossi, “ricostruita sulla base dei procedimenti e delle indagini ancora in corso.In una storia dove i mostri possibili, nel corso del tempo e delle indagini, sono stati molti, il nostro racconto esplora proprio loro, i possibili mostri, dal loro punto di vista. Perché il mostro, alla fine, potrebbe essere chiunque”.

Una scena dal primo episodio

La serie ritorna alle origini del caso del Mostro di Firenze, a partire dalla prima indagine, quella che ci riporta al 1968 e all’omicidio di Barbara Locci e Antonio Lo Bianco. Un omicidio che inizialmente non era stato associato alla sequenza di delitti che hanno terrorizzato Firenze e tutta l’Italia dal 1974 al 1985, ma che successivamente diventa parte di una delle inchieste più lunghe e controverse della storia italiana.

Il racconto attraversa documenti, ipotesi e piste ancora oggi oggetto di dibattito, ripercorrendo nel particolare quella nota come “pista sarda”, basandosi “su fatti realmente accaduti, testimonianze dirette, atti processuali e inchieste giornalistiche”.

La garanzia dietro la macchina da presa

Il regista e sceneggiatore Stefano Sollima

Per raccontare Il Mostro The Apartment (società del gruppo Fremantle) e AlterEgo, che lo hanno prodotto, si sono affidati a un maestro del genere crime, Stefano Sollima, con all’attivo numerosi lavori che hanno esplorato l’Italia dalla prospettiva di crimini e casi che hanno scosso l’opinione pubblica.

Dal film “Suburra” a Gomorra-La Serie, fino a Zero Zero Zero e il lungometraggio “Acab- All Cops Are Bastards”, Sollima sa maneggiare la realtà plasmandola a favore di camera. Un’arte che si ritrova anche nella sceneggiatura de Il Mostro, che ha scritto con Leonardo Fasoli, anche lui abitudinario di serie crime italiane.

Il duo, di fronte alla sfida di portare il caso del Mostro di Firenze in tv, hanno intrapreso una strada alternativa a quella che ci si sarebbe potuto aspettare: raccontare le origini del caso, il primo omicidio, e non focalizzarsi sulla parte più procedurale della vicenda. Una scelta che ha conferito al racconto maggiore originalità e che permette di dare al pubblico una visione davvero nuova sulla vicenda.

Tanti “chi” per una storia

Ciò che dà davvero spessore alla serie è la scelta di concentrarsi non soltanto sul “chi”, ma sul “come”, sul “perché” e sul “cosa resta” — sulle piste deviate, gli errori, i sospetti, le ombre che si moltiplicano. Per questo, Sollima e Fasoli sviluppano i quattro episodi addentrandosi in vari punti di vista, quelli dei primi principali sospettati: le scene si ripetono, aggiungendosi di dettagli che alla prima visione non erano presenti.

Non dei semplici déjà vu, quindi, ma più versioni di una storia, e con esse più verità. Una scrittura che restituisce molto bene quello che è ancora oggi il caso del Mostro di Firenze nel sentire comune italiano: una vicenda che ha trovato una verità processuale, ma che stenta ad avere una certa verità storica.

Una confusione che genera inquietudine

Una scena della serie (Emanuela Scarpa/Netflix)

Questa confusione viene sfruttata molto bene da Sollima e Fasoli, che non ne restano intimoriti, ma la “cavalcano”. Ogni episodio de Il Mostro porta il pubblico verso un finale che sembra aver intrapreso la strada giusta per la risoluzione del caso, salvo poi ribaltare la situazione e lasciare nuovi dubbi a fianco di quelli già emersi.

La verità, insomma, scivola e diventa sfuggente, lasciando la sceneggiatura in bilico tra la risoluzione e l’incertezza. Si brancola nel buio, vivendo un’inquietudine psicologica che solitamente le serie crime cercano di dissipare avvicinandosi all’ultimo episodio.

Una scena della serie (Emanuela Scarpa/Netflix)

Tutto questo non accade ne Il Mostro: per riflettere la realtà del caso, la serie non offre finali chiusi e definitivi, ma una sensazione di smarrimento e di amarezza, perché quella consapevolezza di non essere giunti a un capitolo conclusivo si rispecchia nei fatti storici.

Una scelta narrativa che funziona, perché riflette il caso che ha travolto un’intera generazione: un’indagine lunga, disseminata di depistaggi, smentite, polemiche, e alla fine una conclusione che non ha davvero chiuso tutto, e che ci lascia ancora oggi nel dubbio.

Crudezza e anonimato, scelte stilistiche e sorprendenti

Una scena della serie (Emanuela Scarpa/Netflix)

Sollima, lo abbiamo detto, mastica molto bene il genere crime. E lo stile crudo, che non fa sconti, con cui racconta Il Mostro lo conferma. Scene asciutte, fotografia cupa, un clima di tensione che non lascia scampo ai personaggi, senza via di fuga.

Il regista mette così in chiaro da subito che nel suo racconto nessuno si salva, ma sono tutti vittime. Di chi? Lo abbiamo già scritto: Il Mostro in questo senso non fornisce risposte definitive, ma esplora varie ipotesi. L’incertezza si traduce in una regia che cerca un appiglio nella realtà del tempo, nell’Italia degli anni Sessanta e Ottanta così differente da quella di oggi.

Una scena della serie (Emanuela Scarpa/Netflix)

Curioso, poi, il lavoro di casting: a differenza di numerose altre serie tv, Il Mostro non punta su attori da A-List, ovvero su volti nomi che richiamino il pubblico a prescindere dalla trama. Il cast è composto da attori giovani, di talento ma ancora poco noti (Marco Bullitta, Valentino Mannias, Francesca Olia, Liliana Bottone, Giacomo Fadda, Antonio Tintis e Giordano Mannu). Una scelta che ricorda Gomorra-La serie: attori oggi celebri come Salvatore Esposito, Marco D’amore, Fortunato Cerlino e Maria Pia Calzone al debutto della prima stagione erano poco noti al pubblico televisivo.

Un modo, questo, per conferire alla serie un maggiore effetto realistico e fare dimenticare il più possibile al pubblico di essere davanti a un’opera di finzione. Sollima è molto bravo a lavorare anche in questa direzione, portando a casa un risultato efficace e che aumenta l’effetto di spaesamento del pubblico.

Guardare indietro e guardare avanti

Una scena della serie (Emanuela Scarpa/Netflix)

Il Mostro di Netflix, come detto, guarda alle origini del caso, al primo omicidio, non tralasciando le altre vittime mietute negli anni successivi. E così lo sguardo del pubblico non è unidirezionale, ma costretto a cambiare prospettiva più volte. Ancora una volta, si torna al tema della confusione, che non va fraintesa come difetto, ma come risultato voluto di un racconto che per restare aderente alla realtà ha sacrificato l’esigenza di una chiusura, E, così facendo, ha trovato il suo senso.

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