

Il fenomeno Sandokan è esploso: dagli ascolti record della nuova serie tv con Can Yaman alla miniserie del 1976 su RaiPlay fino al Ritorno di Sandokan del 1996, trasmesso da Cine 34 su Mediaset. Ma perché funziona allora come oggi?
Sandokan non è semplicemente tornato sugli schermi italiani, ma li ha letteralmente riconquistati. Mentre su Rai 1 la nuova miniserie prodotta da Lux Vide e con protagonista Can Yaman ha sbancato negli ascolti, il fenomeno della tigre di Mompracen non ha intenzione di affievolirsi. Come? Se dovremo aspettare per i nuovi episodi della seconda stagione della nuova serie, basta guardare al passato!
Il ritorno di Sandokan su Cine 34

Con una strategia mossa di posizionamento tv, Mediaset ha deciso di attirare a sé coloro che sentono già la nostalgia delle atmosfere di Salgari adattate per la tv, riproponendo mercoledì 17 dicembre alle 21:15 su Cine 34 Il ritorno di Sandokan, miniserie del 1996 ispirata ai personaggi di Emilio Salgari e diretta da Enzo G. Castellari.
Una mega-produzione, con un budget di 15 miliardi di lire, girata tra Mysore, nell’India meridionale; nel palazzo del Maharaja e Madras. Kabir Bedi, primo interprete di Sandokan, tornò a interpretare la Tigre della Malesia con la stessa energia e smalto esibiti nel teleromanzo diretto da Sergio Sollima.
Venti anni dopo il primo capitolo, nel cast de Il ritorno di Sandokan entrano Mandala Tayde (Lady Dora Parker), Romina Power (Maharani Surama), Randi Ingerman (Yamira), Vittoria Belvedere (Baba), Lorenzo Crespi (André de Gomera) e Franco Nero (Yogi Azim). Non senza polemiche, invece, Yanez de Gomera-Philippe Leroy fu sostituito da Fabio Testi.
Il “doppio” Sandokan su RaiPlay
La Rai, però, aveva anticipato tutti già a novembre: in attesa del lancio della nuova serie con Can Yaman, su RaiPlay era infatti tornata la miniserie originale, quella del 1976, diretta da Sergio Sollima e sempre con Bedi protagonista. Sei episodi che consacrarono non solo lo sceneggiato televisivo italiano come una delle nuove forme d’intrattenimento più amate dal pubblico di allora, ma che elevarono a icona pop il personaggio di Salgari e resero estremamente popolare Kabir Bedi, la cui carriera anche negli anni successivi rimase sempre legata a quel personaggio.
Su RaiPlay, dunque, ora esistono due Sandokan: quello del 1976 e quello del 2025: una doppia presenza che permette al pubblico di oggi di scoprire o riscoprire la mitica miniserie o vedere e rivedere la sua riproposizione più recente. Un modo per contaminare nostalgia e gusto per i nuovi linguaggi della fiction in un unico posto. Una narrazione a cui si aggiunge, come abbiamo detto sopra, anche Mediaset.
A vincere è un mito
1976, 1996, 2025: Sandokan funziona ieri come oggi perché riesce a slegarsi da un’unica versione, agganciandosi invece a una funzione narrativa precisa. È l’eroe esotico, ribelle ma giusto, fuori dall’Occidente ma perfettamente leggibile dallo sguardo occidentale. Un personaggio che permette avventura, romance, politica coloniale semplificata e spettacolo puro, senza mai diventare davvero scomodo. L’eroe perfetto per la tv familiare e rassicurante.
Negli anni Settanta, il Sandokan di Sergio Sollima intercettò un’Italia che guarda la tv come un grande romanzo popolare nazionale. Kabir Bedi diventò immediatamente il Sandokan perché incarnava perfettamente quel mix di alterità e carisma che la Rai di allora cercava: abbastanza diverso da sembrare “altro” ma anche abbastanza elegante da diventare familiare.
Da quel successo il personaggio si trasformò in fenomeno culturale trasversale, intorno a cui ruota ancora oggi un immaginario condiviso. Sandokan ha smesso di essere Salgari ed è diventato televisione pura, fatta di intrattenimento, azione, romanticismo e location spettacolari.
Se il Sandokan degli sceneggiati Rai era la novità, l’esotico che portava il pubblico lontano da casa, quello degli anni Novanta è stato il grande revival che ha alimentato la nostalgia di coloro che, negli anni Settanta, erano bambini e adolescenti e da adulti desideravano rivivere le emozioni della tv che seguivano durante la loro infanzia.
Diverso è il discorso della versione del 2025: Lux Vide non ha cercato la sacralità dell’originale né la continuità diretta, ma ha prodotto un reboot industriale, pensato per un mercato globale e per piattaforme, rivolgendosi a un pubblico abituato a ritmi e codici internazionali.
Can Yaman non sostituisce Kabir Bedi, ma lo bypassa. Eroico e integerrimo sì, ma anche desiderabile e empatizzante con il pubblico, di conseguenza facilmente esportabile. Il mito c’è ancora, ma deve fondersi al franchise. E proprio per questo può convivere con le versioni precedenti senza cancellarle. Il fatto che RaiPlay abbia riproposto la serie storica mentre Rai 1 lanciava il reboot è la dimostrazione che Sandokan oggi funziona per stratificazione e non per sostituzione.
La tigre del comfort pop
Sandokan può concedersi quindi il lusso di tornare ciclicamente in tv perché rappresenta un comfort pop. È avventura senza cinismo, eroismo senza ambiguità, racconto epico senza complessità, desiderio senza volgarità. E come sempre più accade nella televisione seriale di oggi fatta di reboot e revival, ci offre una storia che sappiamo già come funziona, ma che vogliamo vedere lo stesso: la Tigre di Mompracem continua a ruggire.





