La tv si è stufata dei reality? No, ma ora li chiama “esperimenti sociali”

Nel 2000 fu il Grande Fratello, oggi sono Money Road, The Traitors e L’amore è cieco: lo spettatore non vuole più solo spiare, vuole capire cosa succede quando metti le persone davanti a scelte impossibili

Negli ultimi anni la televisione ha fatto un giro strano: dopo essersi nutrita per anni con il reality show puro, spremendolo fino all’osso e rendendolo praticamente obsoleto, ha cominciato a proporlo sotto quella che potremmo definire una nuova veste. O anche no: perché, a ben pensarci, il reality show è nato come “esperimento sociale”, e proprio questa definizione, oggi, è più in voga che mai.

Se oggi apriamo un comunicato stampa, quasi nessuno ti dice “abbiamo messo dieci sconosciuti in una casa/loft/giungla e li abbiamo filmati mentre litigavano”. No: “analizziamo comportamenti”, “mettiamo alla prova i valori”, “vediamo come reagisce il gruppo quando…”. I format diventano trattati di antropologia, psicologia e dinamiche collettive. Anche se nel core resta reality, all’esterno deve apparire come qualcosa di differente, oseremmo dire più utile per il pubblico che guarda.

Ed è buffo, perché in Italia il primo vero esperimento sociale lo abbiamo davvero fatto: Grande Fratello, anno 2000. Quello che oggi è diventato un appuntamento spalmato su tutta la stagione tv di Canale 5 (sia esso nella versione con persone comuni o famose), all’inizio non era semplice gossip, ma un’idea quasi ingenua: chiusi in una casa, niente telefoni, niente contatti, camere ovunque. Non stiamo scrivendo una novità: il primo GF era davvero qualcosa di nuovo, che ha portato in maniera rivoluzionaria la realtà dentro la tv.

Da lì si è aperta la diga, e mentre il Grande Fratello ha cominciato a crescere (sia nelle dimensioni della Casa e della durata che nel “pacchetto” di proposte per tenere accesa l’attenzione sui concorrenti), l’idea di esperimento sociale in tv ha cercato di manifestarsi altrove, senza bissare lo stesso successo.

Gli azzardi di Unan1mous e Uman

Uno dei primi azzardi in tal senso lo fece non un addetto ai lavori qualsiasi, ma tale Maria De Filippi, che a settembre 2006 condusse Unan1mous, format statunitense con un’idea di base davvero provocatoria. Il vincitore, infatti, doveva essere decretato dagli altri concorrenti, che dovevano individuarlo all’unanimità il prima possibile: con il passare del tempo, infatti, diminuiva il montepremi.

Il potere del consenso totale tiene banco per la breve durata dell’esperimento, due settimane: tante ne sono servite per raggiunge il verdetto. Il format non prevedeva dunque una durata prestabilita, così come la conclusione poteva avvenire anche quando non era previsto l’appuntamento in prima serata. Elemento, questo, che ha impedito qualsiasi forma di fidelizzazione da parte del pubblico, fondamentale per la tv generalista. E chissà, proprio per questo un format come Unan1mous oggi avrebbe più senso se riproposto su una piattaforma streaming.

Ad ogni modo, Italia 1 ci riprovò qualche anno dopo con Uman-Take control, format israeliano andato in onda nel 2011. Condotto da Rossella Brescia e dal Mago Forest, l’idea era quella di trasformare i concorrenti provenienti da altri reality in tamagotchi umani, invitando il pubblico da casa a comandarne le azioni tramite il voto sul web.

Il reality spingeva, insomma, l’acceleratore sull’interattività con il pubblico, azzerando qualsiasi possibilità di azione spontanea da parte dei concorrenti, diventati delle semplici pedine. Un modo, questo, per ricordare alla tv che il pubblico è sempre sovrano. L’esperimento però non funzionò: delle sette puntate previste, ne andarono in onda solo due.

“Se dovessi individuare la principale vocazione di Italia 1 senz’altro ne sottolineerei la visione sperimentale. Tuttavia anche la sperimentazione d’avanguardia non può prescindere dalla tutela dell’aspetto editoriale. Con ‘Uman – Take control’ ho provato a coniugare linguaggi e tematiche di mondi affini, ma, evidentemente, ancora troppo lontani. L’esperimento, secondo me, non è riuscito; soprattutto dal punto di vista editoriale”: così commentò ai tempi Luca Tiraboschi, allora direttore di rete. “La chiusura di un capitolo è una esperienza che lascia scorie, forse i più contenti saranno proprio i concorrenti che finalmente potranno uscire dal laboratorio”.

Sia Unan1mus che Uman hanno proposto idee originali, provocatorie, che hanno provato a scardinare le regole del reality cercando una rivoluzione tv: hanno avuto però la sfortuna di essere stati pensati e prodotti troppo presto, quando il pubblico si era appena abituato alle logiche del reality classico, tra nomination, liti e televoto.

La rinascita dell’esperimento sociale

Nel corso degli anni, però, il reality classico comincia a scricchiolare o, comunque, a diventare qualcosa di ordinario, parte del palinsesto televisivo e non più capace di generare un sano dibattito. La tv ha quindi vissuto per qualche anno in un limbo dei reality, proposti con le stesse dinamiche prevedibili, ma le uniche che si potevano trovare. Fino a poco tempo fa.

L’idea di esperimento sociale, ora, sta tornando in voga, prepotentemente: al centro ci sono dinamiche e strategie che puntano a svelare la vera natura dell’essere umano oggi o che vogliono superare alcuni stereotipi legati all’apparenza. O, ancora, che trasformano alcuni contesti in spietate arene di gioco.

I format più recenti giunti in Italia e che hanno conquistato il pubblico ci mostrano come il reality non basti più: serve il plot twist, l’elemento inedito e a sorpresa che scateni una reazione inedita. In Money Road (Sky), format britannico, l’idea è quella di trasformare un trekking di dodici giorni tra sconosciuti in una gara a chi sa -e vuole- resistere di più alle tentazioni, mettendo sul piatto un montepremi comune da difendere o spendere sul momento.

The Traitors (Prime Video), format belga, alza l’asticella e inserisce l’elemento di gioco: restano i punti cardine del reality (uno spazio delimitato circondato da telecamere, confessionali, ecc), ma la presenza dei Traditori che devono lavorare per eliminare tutti gli altri trasforma la visione in qualcosa che è più vicino alla serialità.

Sia The Traitors che Money Road usano emozioni fino ad ora confinate nelle sceneggiature di una serie tv o di un film: il sospetto, la fiducia e la paranoia prendono il posto dei protagonisti e, anche per questo, hanno fatto breccia nel cuore del pubblico, usando un linguaggio che va oltre la forma.

Non a caso parliamo di elementi vicini al mondo delle serie tv: i due format sono emersi negli stessi anni in cui è esploso il fenomeno Squid Game. Qui anche il gioco più innocente diventa letale, creando una commistione sadica in cui il concetto di esperimento sociale sguazza beatamente.

E a Netflix hanno capito subito che l’idea poteva essere replicata anche nella realtà, producendo Squid Game la Sfida, il reality tratto dalla serie: stesse regole, stesso montepremi. Restano anche alcuni giochi iconici, a cui se ne aggiungono altri, più legati alle strategie di gruppo e alla necessità di relazionarsi con gli altri per sopravvivere. Un reality 2.0, in cui l’idea di esperimento sociale si trova più che a suo agio.

Tra amore ed esperimenti

Ma c’è di più: il reality diventato esperimento sociale 2.0 si è sviluppato soprattutto nel settore del dating, prendendo il sentimento più ricercato da tutti per eccellenza, l’amore, e mettendolo alla prova nei modi più disparati. L’ultimo esempio, sempre da Netflix, è L’amore è cieco Italia: format internazionale che punta a creare delle coppie partendo dal farle conoscere senza che si vedano. Una sorta di gioco delle coppie aggiornato ai nostri tempi (e con un budget decisamente maggiore).

L’idea di base è quella di far cadere i pregudici legati all’aspetto fisico e al look per andare a conoscere la persona per quello che è. Dopo l’incontro, però, quella chimica nata durante gli incontri nelle capsule durerà? Idea simile quella di Matrimonio a prima vista, format danese che vuole rendere il colpo di fulmine qualcosa di prevedibile: le coppie, in questo caso, sono format secondo dei match precedentemente studiati da degli esperti. Ai partecipanti non resta che conoscere la loro probabile anima gemella il giorno del loro matrimonio, che potrebbe durare così come interrompersi subito.

E non dimentichiamo l’ormai cult Temptation Island, che ha fatto delle corna un vero e proprio business: un viaggio nei sentimenti (cit.) in cui amore e tentazione vanno a braccetto, per la gioia dei telespettatori. Format semplice, che diventa fortissimo grazie al casting ogni anno impeccabile condotto dalla Fascino di Maria de Filippi.

Ma sono davvero esperimenti sociali?

A questo punto, è lecito chiedersi se questi format siano davvero degli esperimenti sociali che stanno prendendo il posto dei laboratori di sociologia e antropologia universitari o se sia solo un’etichetta trendy che aiuta un programma a scostarsi dal pregiudizio che impera oggi giorno verso i reality show.

La verità sta nel mezzo: se da un lato queste idee sicuramente propongono uno sguardo inedito sulla nostra società e su chi siamo diventati, dall’altro c’è la consapevolezza che il pubblico televisivo sia diventato un osservatore morale, che vuole introiettare ciò che vede per conoscersi meglio. E, alla fine, chiedersi “Ma io, in quella situazione, cosa avrei fatto?”: una domanda che oggi, in tv, vale oro.

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