

Per le proteste della Gen Z, un simbolo pop che il Governo Mondiale non può capire.
L’ascesa del Jolly Roger di Cappello di Paglia a icona globale di protesta non è un fenomeno casuale. La sua potenza non deriva da un generico spirito ribelle, ma dalle profonde radici politiche dell’opera da cui proviene, One Piece. Prima di sventolare nelle piazze di Giacarta, Katmandu, Parigi, Roma, questo vessillo era già, per milioni di lettori e lettrici, spettatrici e spettatori, un simbolo di dichiarata ostilità verso un sistema meticolosamente costruito per rispecchiare le ingiustizie del mondo reale. Per comprendere la sua adozione da parte dei movimenti di protesta, è necessario analizzare il nemico contro cui è stato issato per la prima volta: il governo mondiale.
Il Governo Mondiale di One Piece come specchio dell’autoritarismo reale
Lungi dall’essere un generico “impero del male”, il Governo Mondiale di Eiichiro Oda, il creatore di One Piece, è una sofisticata allegoria di un regime autoritario globale. È un’entità che governa su 170 nazioni. Si presenta come garante di ordine e giustizia, ma nasconde una struttura profondamente corrotta, manipolatrice e repressiva. Controlla i media per plasmare la narrazione pubblica, etichettando chiunque sfidi la sua autorità come “pirata” o “terrorista” per giustificarne la persecuzione.
Al vertice di questa struttura si trovano i Nobili mondiali o Draghi celesti, un’aristocrazia mondiale che vive nel lusso più sfrenato, al di sopra di ogni legge e morale. La loro esistenza, fondata sulla schiavitù e sulla sofferenza altrui, è la metafora più potente dell’elitarismo classista e dell’ineguaglianza sistemica che causa molte delle proteste reali.
Il desiderio del clone Vegapunk, York, di diventare un Nobile Mondiale per pura avidità, incarna la corruzione morale che questo sistema genera. A garantire il mantenimento di questo ordine interviene la macchina repressiva del Governo: i servizi segreti noti come Cipher Pol. In particolare, il CP9 e il CP0 agiscono come una polizia segreta con licenza di uccidere. Il loro scopo non è servire la giustizia, ma neutralizzare ogni minaccia allo status quo per il prestigio e il potere personale dei loro superiori, come l’infame Spandam.
Il potere del Jolly Roger di One Piece come simbolo di protesta non nasce, quindi, da una vaga lotta tra bene e male. La sua efficacia risiede nella straordinaria precisione con cui il suo avversario narrativo, il Governo Mondiale, rispecchia le ansie contemporanee verso le istituzioni. I manifestanti che scendono in piazza contro la corruzione sistemica, i privilegi delle élite e la manipolazione mediatica riconoscono nel Governo Mondiale non un nemico di fantasia, ma un’allegoria fin troppo familiare del potere che contestano. La narrazione di Oda ha, di fatto, fornito un modello e un nome al loro avversario e remixa la cultura popolare in cui il Jolly Roger, simbolo della pirateria, era già usato in senso analogo – per esempio, da movimenti anarchici, come quello guidato da Emiliano Zapata durante la rivoluzione messicana (1910) e quello di Nestor Makhno in Ucraina (1917). Anche attivisti contemporanei hanno usato il Jolly Roger nella sua forma più conosciuta per esprimere solidarietà alle proteste degli oppressi e disobbedienza civile, adattando il simbolo dei pirati alla realtà contemoporanea. Finché è arrivato il Jolly Roger di One Piece.
La giustizia come costrutto del potere in One Piece
One Piece decostruisce costantemente il concetto di “giustizia”, mostrandola non come un valore assoluto, ma come un costrutto ideologico definito da chi detiene il potere. La citazione più emblematica di questa filosofia è pronunciata da Donquixote Doflamingo: “I pirati sarebbero il male? E la marina rappresenterebbe la giustizia? […] Solo chi è al potere può stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato! […] Sono i vincitori a essere nel giusto!”. Questa affermazione smaschera la retorica governativa e spiega perché popoli oppressi, che non trovano salvezza in un governo che “parla di giustizia” ma è “incapace di sentire le urla delle vittime che lui stesso ha causato”, si appellino a dei fuorilegge. Per mantenere il proprio dominio, il Governo Mondiale non esita a cancellare attivamente la storia: un parallelo diretto con il revisionismo storico praticato dai regimi autoritari reali per sopprimere verità scomode.
Al centro di questa ribellione c’è Monkey D. Luffy, un protagonista che non è certo un fine ideologo politico, ma un catalizzatore di liberazione. La sua celebre dichiarazione di guerra al Governo Mondiale, con l’incendio della loro bandiera a Enies Lobby, non nasce da un piano preciso di lotta collettiva ma dall’impulso personale di salvare un’amica. Eppure, questo atto singolo si trasforma in un gesto politico di portata mondiale.
Luffy rifiuta esplicitamente il ruolo di eroe, affermando: “Un eroe è quello che dà la carne agli altri! I pirati con la carne ci fanno un banchetto!”. La sua filosofia non è governare o salvare, ma garantire a sé stesso e ai suoi amici la libertà più assoluta. Questo ideale, perseguito con incrollabile determinazione, finisce però per liberare intere nazioni dalla tirannia, non come obiettivo primario, ma come conseguenza naturale della sua ricerca di libertà personale.
Questo sovverte l’archetipo del pirata: nelle mani di Oda, il pirata diventa un agente di liberazione, molto più vicino a quel che racconta l’antropologo David Graeber nella sua Utopia pirata di Libertalia che non a rappresentazioni anche più recenti come quelle dei Pirati dei Caraibi.
Questa costante associazione narrativa tra il simbolo piratesco e atti di liberazione, protratta per oltre due decenni, ha di fatto “riprogrammato” il significato del Jolly Roger per milioni di fan. Di conseguenza, quando i manifestanti cercano un simbolo di resistenza, non pensano più al pirata storico, ma al “pirata di Oda”, il cui vessillo, un tempo emblema di paura, è oggi un simbolo di speranza e resistenza contro l’ingiustizia.
Il Jolly Roger in Indonesia
Il momento in cui il Jolly Roger di Cappello di Paglia ha trasceso la finzione per diventare un’arma politica ha un’origine precisa: l’Indonesia dell’estate 2025. È qui che un contesto di malcontento locale, unito a una richiesta governativa maldestra, ha creato le condizioni perfette per la nascita di un fenomeno globale. Da mesi, un malcontento diffuso covava nel Paese, alimentato dalla corruzione percepita, dalle difficoltà economiche e da politiche impopolari, come le nuove e restrittive leggi sui camionisti (note come ODOL, Over Dimension, Over Load). Il punto di svolta, tuttavia, è arrivato con la direttiva del Presidente Prabowo Subianto, che esortava i cittadini a esporre la bandiera nazionale, la Merah Putih, in vista dell’80° anniversario del Giorno dell’Indipendenza, come dimostrazione di orgoglio nazionale. Per molti cittadini, questa richiesta è suonata come una beffa. È stata percepita come “patriottismo performativo”, una pretesa vuota da parte di un’élite politica che intanto era accusata di arricchirsi a spese del popolo e di ignorarne i bisogni reali. La richiesta di sventolare una bandiera per celebrare la nazione è apparsa dissonante in un momento in cui molti sentivano che la nazione li stava tradendo. Invece di obbedire, i cittadini, a partire dai camionisti per poi diffondersi a macchia d’olio tra i giovani, hanno iniziato a esporre il Jolly Roger di One Piece accanto o, in alcuni casi, al posto della bandiera nazionale. Oltre alla facile reperibilità del merchandising e all’immensa popolarità del manga nel sud-est asiatico, il simbolo incarnava perfettamente il loro messaggio: una dichiarazione di libertà e di lotta contro un governo percepito come corrotto e ingiusto, proprio come quello dell’opera di Oda. Era un nuovo atto di “remix” culturale e politico. I manifestanti hanno preso due simboli, uno nazionale, che era stato loro imposto, l’altro della cultura pop, che invece hanno scelto, e li hanno messi in un dialogo conflittuale, creando un significato completamente nuovo. Alla faccia di chi pensa che il “popolo” non sia in grado di atti complessi, questa scelta ha dimostrato una sofisticata comprensione della semiotica della protesta, tipica di una generazione che remixa, appunto,.
La reazione e l’effetto Streisand
Invece di ignorare il fenomeno o interpretarlo come una forma di libera espressione, alcuni politici hanno definito l’atto un tentativo di “dividere l’unità nazionale” e hanno minacciato accuse di “tradimento”. Sono state organizzate retate per rimuovere bandiere e murales, azioni che hanno provocato la condanna di Amnesty International per violazione della libertà di espressione.
Questa repressione ha innescato un classico “effetto Streisand”. Invece di soffocare il dissenso, lo ha amplificato a dismisura. La notizia che il governo di una delle più grandi democrazie del mondo temeva una “bandiera dei cartoni animati” è diventata virale a livello internazionale. Minacciando di considerare un atto di tradimento l’esposizione di un simbolo di One Piece, le autorità indonesiane si sono involontariamente calate nel ruolo del “Governo Mondiale” del manga. Questa reazione ha confermato, agli occhi dei manifestanti, la tesi centrale dell’opera di Oda: i regimi autoritari temono i simboli di libertà e rispondono con la repressione. L’azione del governo reale ha creato un perfetto parallelismo con la finzione, rendendo la scelta del simbolo non solo appropriata, ma quasi profetica e conferendogli una legittimità politica che prima non aveva. La repressione ha trasformato un’allegoria in una realtà vissuta, preparando il terreno per la sua diffusione globale.
Il Jolly Roger si diffonde nel mondo, anche in Italia
Dalla scintilla di Giacarta, l’uso del Jolly Roger di Cappello di Paglia si è propagato a livello globale con una velocità sorprendente, diventando un vessillo comune per una moltitudine di cause. La sua forza risiede in una dualità unica: pur mantenendo un nucleo di significati universali—libertà, lotta alla corruzione, speranza—viene costantemente adattato e radicato nelle specificità delle lotte locali. La tabella seguente offre una panoramica della sua diffusione.
| Paese | Contesto/Causa Principale della Protesta | Modalità di Utilizzo del Simbolo | |
| Indonesia | Anti-corruzione, privilegi delle élite, leggi restrittive (ODOL) | Sventolato al posto/accanto alla bandiera nazionale, su camion, case, murales | |
| Nepal | Censura dei social media, corruzione, anti-governativo | Appeso ai cancelli del Parlamento in fiamme, sventolato in cortei di massa | |
| Filippine | Corruzione (“progetti fantasma” per fondi anti-inondazioni) | Sventolato durante manifestazioni di massa (“Trillion Peso March”) | |
| Madagascar | Crisi idrica ed energetica, malgoverno, anti-presidenziale | Adattato con cappello satroka locale, usato come logo sui social media | |
| Francia | Proteste contro le politiche di Macron, tagli al budget, giustizia sociale | Sventolato durante scioperi nazionali e proteste studentesche | |
| Italia | Solidarietà internazionale (Pro-Palestina) | Issato durante manifestazioni a Roma | |
| USA | Proteste anti-governative (“No Kings Day”), contro ICE | Sventolato durante manifestazioni a Washington D.C., Portland, etc. | |
| Corea del Sud | Proteste contro il presidente Yoon Suk Yeol (legge marziale) | Esposto durante marce di protesta | |
| Giappone | Scandali di finanziamento irregolare al governo | Utilizzato in piccole proteste |
Questa diffusione non è avvenuta in modo indipendente ma non è stata nemmeno coordinata a tavolino: si è diffusa in maniera virale, come un meme calato nella vita vera, attraverso un processo di emulazione e ispirazione mediato dai social media: è una sfera pubblica di protesta globale della Generazione Z, dove tattiche e simboli vengono condivisi e replicati quasi istantaneamente. Una protesta in un paese non è più solo un evento locale, ma diventa un modello che può essere adattato da altri giovani che condividono lo stesso linguaggio culturale e le stesse frustrazioni politiche.
Henry Jenkins e l’immaginazione civica della Gen Z
Lo studioso dei media Henry Jenkins ha osservato che la Gen Z è una generazione cresciuta profondamente immersa nella cultura popolare, e che questa “alimenta la loro immaginazione civica“. Le battaglie politiche, oggi, vengono combattute sempre più spesso utilizzando un “vernacolo” tratto da queste narrazioni condivise. Il Jolly Roger di One Piece è un perfetto esempio di questo linguaggio: è un codice culturale istantaneamente riconoscibile da milioni di giovani in tutto il mondo, capace di trasmettere un complesso insieme di significati—libertà, sfida, amicizia, speranza—in modo immediato e virale, superando le barriere linguistiche e geografiche. Come sottolinea la professoressa Nuurrianti Jalli, “un meme, un gesto o una bandiera possono trasmettere istantaneamente un significato attraverso le divisioni di lingua, religione o geografia”.
Questa risonanza globale è ciò che guida il suo utilizzo. Nelle parole di Natalie Pang, della National University of Singapore, la bandiera diventa “una sorta di simbolo unificante che permette ai giovani di radunarsi attorno a cause comuni e di sostenersi a vicenda” nella lotta contro l’ingiustizia e la corruzione. Il successo del simbolo si spiega anche con la natura delle comunità online. Come suggerisce Pang, i movimenti politici più efficaci spesso non nascono dal nulla, ma emergono da ciò che le persone già fanno e consumano. Il fandom di One Piece non è un semplice aggregato di consumatori passivi, ma una “comunità ben connessa con un forte senso di comunità” preesistente, dotata di proprie infrastrutture sociali (forum, gruppi social, convention). Quando un evento esterno, come una protesta contro la corruzione, si allinea con i valori fondamentali della narrazione che li unisce, questa infrastruttura può essere rapidamente “attivata” e politicizzata. Si assiste così a una “trasformazione di una fan community in qualcosa di più politico”.
Questo processo rivela che per la Gen Z la distinzione tra “intrattenimento” e “vita reale” è sempre più labile. Le narrazioni che consumano non sono semplice evasione, ma framework etici e morali attraverso cui interpretano il mondo e agiscono in esso. I giovani manifestanti vedono “parallelismi diretti” tra il manga e i loro sistemi politici , come dimostrano affermazioni quali “L’anime riflette l’ingiustizia e la disuguaglianza che gli indonesiani sperimentano” o “Il mondo corrotto di One Piece riflette il nostro paese attuale”. La cultura di massa non è più solo un prodotto da consumare, ma un kit di strumenti ideologici e simbolici per l’azione politica.
E poi, il Jolly Roger di Luffy non è cupo o minaccioso; è un teschio sorridente. È “giocoso”, “attivo”, “divertente” e anche divergente, spiazzante, incomprensibile ai vecchi governanti del mondo. Questo elemento permette ai giovani di esprimere la propria insoddisfazione in un modo che è anche un’affermazione della propria identità culturale. Per chi si ribella, una “bandiera giocosa usata da pirati fittizi è un buon simbolo di resistenza attorno a cui radunarsi”. Questo abbassa la soglia di partecipazione e rende la protesta più condivisibile e virale.
Inoltre, in regimi dove la critica diretta al governo è pericolosa, l’uso di un simbolo della cultura pop offre un livello di “negabilità plausibile”. Le autorità che reprimono l’uso di una bandiera di un cartone animato rischiano di apparire ridicole e tiranniche, come accaduto in Indonesia. Il simbolo agisce come uno scudo semiotico: a basso rischio iniziale per i partecipanti, ma ad alto rischio reputazionale per le autorità che tentano di sopprimerlo.
Chi avrà ancora il coraggio di parlare male della cultura pop?







