Blindati: Viaggio nelle Carceri e non solo: come il prison drama è diventato uno dei generi di maggior successo
Blindati

Partendo dagli speciali del programma di DMAX con Luigi Pelazza, analizziamo il successo del genere prison drama, tra serie tv e documentari.

Luigi Pelazza è tornato in onda, oltre che con Le Iene, anche con due speciali di Blindati: Viaggio nelle Carceri, programma in onda su DMAX, canale 52 del digitale terrestre.

Dopo aver mostrato le realtà carcerarie di tutto il mondo, la Iena ha varcato i cancelli di due istituti penitenziari italiani: il carcere minorile di Nisida a Napoli e la Casa di Reclusione di Bollate a Milano.

Per la prima stagione del programma, Pelazza aveva visitato le prigioni più dure del mondo, dalla Bulgaria al Brasile, dalla Bolivia al Madagascar.

In questi due speciali dal titolo preciso Blindati: Viaggio nelle Carceri Italia, Pelazza ha incontrato anche esperti tra i quali il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Nicola Gratteri, e don Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo Apostolo nel cuore del Parco Verde di Caivano.

Tra serie tv e docu-reality, il mondo delle carceri è stato raccontato in molteplici modi in tv nel corso degli anni.

Il prison drama, o racconto carcerario, si è affermato negli ultimi decenni come uno dei generi televisivi di maggior successo e impatto culturale, non solo per la curiosità per una realtà poco nota ma anche grazie alla sua intrinseca potenza narrativa. Il carcere, infatti, non è una soltanto una semplice ambientazione ma un vero e proprio motore drammaturgico, un microcosmo sociale forzato o un laboratorio in cui le dinamiche di potere, le gerarchie, la lotta per la sopravvivenza e i residui di umanità vengono esasperati e messi a nudo.

Questo genere, che sia scripted o unscripted, permette agli spettatori di riflettere anche su temi universali come la giustizia, la colpa, la redenzione e la natura stessa del bene e del male.

Carcere: i documentari

Rimaniamo in tema documentari e docu-reality.

I documentari e programmi di inchiesta che hanno offerto uno sguardo diretto, e a tratti sconvolgente, sulla realtà della vita detentiva, facendo da necessario contrappunto alle narrazioni drammatizzate delle serie tv, sono stati tanti.

Se Blindati: Viaggio nelle Carceri adotta un approccio immersivo per esplorare le condizioni di vita nelle prigioni, Prigioni d’Italia, documentario realizzato dall’associazione Antigone, affronta in modo sistemico le criticità del sistema penitenziario italiano come il sovraffollamento e le condizioni di vita spesso al limite della dignità umana.

A livello internazionale, invece, ha riscosso enorme successo un format che si potrebbe definire di turismo penitenziario. In Inside the World’s Toughest Prisons, disponibile su Netflix, un giornalista (in 6 stagioni su 7, il giornalista protagonista è un ex detenuto, Raphael Rowe) si fa volontariamente incarcerare per brevi periodi nelle prigioni più pericolose del mondo per documentarne dall’interno le condizioni di vita, dalle carceri sovraffollate delle Filippine a quelle dominate dalle gang in El Salvador.

Un’altra prospettiva interessante è offerta da docu-serie come Dangerous Old People, nata da un’idea di Roberto Saviano, che sposta l’attenzione su un tema raramente esplorato ossia la vita dei criminali di lungo corso dopo aver scontato decenni di vita carceraria, analizzando le difficoltà di reinserimento nella società e il peso di un’intera vita segnata dal crimine.

Su Netflix, sono disponibili anche il documentario XIII emendamento, diretto da Ava DuVernay, che propone un analisi del legame tra razzismo e incarcerazione di massa negli Stati Uniti, e Surviving Death Row, una critica al sistema penitenziario americano attraverso varie testimonianze.

Carcere: le serie italiane

Passiamo alle serie tv, iniziando da quelle di produzione italiana.

Per lungo tempo, la televisione italiana ha trattato l’ambientazione carceraria con circospezione, relegandola più che altro a brevi parentesi all’interno di narrazioni poliziesche. Solo di recente, sulla scia del successo internazionale del genere, la produzione nazionale ha iniziato a esplorare questo mondo con maggiore complessità e ambizione.

Iniziamo da un’anomalia comica, andata in onda sulle reti Mediaset dal 2005 al 2012, ossia la sit-com Belli Dentro, con molti comici di Zelig presenti nel cast come Geppi Cucciari, Leonardo Manera, Claudia Batta. L’idea di questa sit-com nacque in collaborazione con i detenuti del carcere di San Vittore a Milano.

Pur senza alcuna pretesa di realismo o di denuncia sociale, Belli Dentro ha avuto il merito di sdoganare un’ambientazione complessa come quella carceraria, rendendola accessibile al grande pubblico attraverso il linguaggio rassicurante della comicità.

Mare Fuori: il fenomeno culturale

Il fenomeno culturale vero e proprio, però, è indubbiamente rappresentato da Mare Fuori. Partita in sordina su Rai 2, la serie è esplosa grazie al passaparola e alla distribuzione in streaming, superando ogni record di visualizzazioni e generando un vero e proprio universo transmediale che ha incluso un musical teatrale, libri e spin-off (l’ultimo in ordine di tempo, il film Io sono Rosa Ricci).

La serie, che intreccia le storie di un gruppo di giovani detenuti, è ambientata in un immaginario Istituto Penale per Minorenni (IPM) di Napoli, liberamente ispirato a quello di Nisida che, come scritto in apertura, è stato visitato da Pelazza in Blindati.

Il realismo iniziale di Mare Fuori ha pian piano lasciato spazio a dinamiche più da teen drama: questa scelta ha provocato critiche da commentatori e persino ex detenuti che hanno accusato la serie di offrire una rappresentazione edulcorata e fuorviante della realtà carceraria minorile.

Il suo successo, inoltre, ha aperto un nuovo filone narrativo, come dimostra l’annuncio di Nate Libere, nuova serie ambientata in un carcere femminile che avrà gli stessi produttori di Mare Fuori.

Il Re: il primo vero e proprio prison drama

Il Re, invece, ha segnato un punto di svolta per la serialità italiana, affermandosi come il primo vero e proprio prison drama nazionale, una produzione Sky Original di alto profilo che attinge ai canoni del genere internazionale.

La serie è costruita attorno alla figura di Bruno Testori, interpretato da Luca Zingaretti, direttore del carcere di frontiera San Michele. Testori governa l’istituto come un sovrano assoluto, applicando una sua personale e distorta idea di giustizia, al di sopra della legge dello Stato.

La serie, più che un dramma corale, si configura come un noir incentrato sul suo protagonista, seguendone la discesa in un abisso morale. Il Re non si limita a raccontare un carcere ma lo utilizza come metafora di una società che, sentendosi assediata e sfiduciata nelle istituzioni, è tentata dall’affidarsi a “uomini forti”.

La critica ha lodato l’alta qualità della produzione ma, anche in questo caso, non sono mancate critiche: la serie, infatti, è stata accusata di offrire una rappresentazione distopica e irrealistica del carcere, popolata solamente da personaggi brutti, sporchi e cattivi.

Carcere: le serie internazionali

La televisione statunitense, invece, ha plasmato in modo indelebile l’immaginario collettivo legato al mondo carcerario.

Oz, trasmessa dall’emittente via cavo HBO a partire dal 1997, è universalmente riconosciuta come la serie che ha dato inizio all’era moderna del prison drama. Ideata da Tom Fontana, Oz ha mostrato senza filtri la violenza, il linguaggio e le dinamiche brutali della vita detentiva, costruendo narrazioni serializzate complesse, popolate da anti-eroi e prive della necessità di lieto fine rassicuranti.

La narrazione è ambientata nel penitenziario di massima sicurezza Oswald, e in particolare nel suo braccio sperimentale, il Paradiso, un’utopia rieducativa ideata dal direttore Tim McManus. Questo ideale si scontra violentemente con la realtà di un ecosistema dominato da gang ferocemente contrapposte su base etnica dove spaccio, abusi e omicidi sono all’ordine del giorno.

Prison Break e la fusione con l’action-thriller e la spy story

Prison Break, invece, ha avuto il merito di reinventare il ritmo del prison drama, fondendolo con l’action-thriller e la spy story.

La trama ruota attorno all’ingegnere Michael Scofield, che si fa deliberatamente incarcerare nel penitenziario di Fox River per organizzare, dall’interno, l’evasione del fratello Lincoln Burrows, condannato a morte per un omicidio che non ha commesso.

La serie si è distinta per il ritmo adrenalinico e una struttura narrativa basata su continui colpi di scena. L’elemento visivo più celebre sono i tatuaggi che ricoprono il corpo di Michael, una mappa cifrata del piano di fuga.

La prima stagione, focalizzata sulla pianificazione e l’esecuzione dell’evasione, è stata un successo mondiale di pubblico e critica. Le stagioni successive, che trasformano la serie in una caccia all’uomo e successivamente in un thriller cospirativo contro un’organizzazione segreta chiamata La Compagnia, hanno ricevuto un’accoglienza più tiepida.

Orange Is the New Black: la nascita del dramedy

Orange Is the New Black, invece, ha rappresentato una vera e propria svolta nel genere, oltre ad essere stato uno dei titoli fondativi dell’identità di Netflix come produttore di contenuti originali.

Basata sul memoir autobiografico di Piper Kerman, la serie creata da Jenji Kohan ha introdotto nel genere un tono dramedy, spostando il focus su un carcere federale femminile a minima sicurezza.

La storia inizia seguendo le vicende di Piper Chapman, donna bianca, borghese e privilegiata, condannata a 15 mesi di reclusione per un reato legato al narcotraffico commesso dieci anni prima. Progressivamente, la serie allarga il suo campo visivo, spostando il focus da Piper ad un vasto e diversificato cast corale: donne nere, latine, anziane, transgender o affette da disturbi mentali.

Con il progredire delle stagioni, la serie ha assunto una connotazione sempre più politica, affrontando temi di attualità come la brutalità della polizia e il movimento Black Lives Matter, la privatizzazione del sistema carcerario e le disumane condizioni dei centri di detenzione per immigrati.

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