Come mai Mediaset usa la Lip-sync Battle solo come segmento di Tu Sì Que Vales e non come un programma vero e proprio?

La Lip-Sync Battle di Tu Sì Que Vales ha origini lontane: un format vero e proprio, nato negli Stati Uniti ed esportato con successo. Da noi, però, occupa solo un segmento di un altro format, nonostante abbia le carte in regola per diventare uno show autonomo

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La televisione italiana vive un’epoca in cui la ricerca di format inediti è sempre meno presente nelle agende di produttori e dirigenti. Serve l’usato sicuro, il format già testato e vincente, che garantisca subito un ritorno in ascolti e gradimento del pubblico. Questo perché anche il mondo del piccolo schermo sta affrontando una contrazione di risorse a disposizione: ogni centesimo, dunque, deve essere indirizzato verso ciò che può funzionare con il minimo margine di rischio.

C’è però un caso singolare, in cui un format già testato con successo all’estero è diventato un segmento di un altro programma di successo. Sì, stiamo parlando della Lip-Sync Battle di Tu Sì Que Vales. Come abbiamo già scritto, l’idea di far cantare in playback personaggi famosi proviene da un format americano, di cui Maria De Filippi ha giustamente annusato la forza e deciso di utilizzare come elemento di varietà nel suo talent show dagli ascolti record. Ma se questa fosse un’occasione sprecata?

Anche la Lip-Sync Battle di TSQV ha una sua finale

Il Lip-Sync Battle dentro TSQV non è un semplice intermezzo, ma una gara vera e propria, con tanto di classifica e di finale da svolgere all’interno della finale vera e propria del programma. Sabato 6 dicembre, in diretta, i quattro giudici Maria De Filippi, Rudy Zerbi, Paolo Bonolis e Luciana Littizzetto si cimenteranno in nuovi playback affiancati come sempre da ospiti d’eccezione: Francesca Fagnani, Filippo Bisciglia, Claudia Gerini e Giucas Casella. La classifica finale, aggiornata nel corso delle dieci puntate precedenti, decreterà quale dei quattro giudici sia il vincitore o vincitrice del torneo di Lip-Sync Battle.

Dai salotti di Jimmy Fallon… a uno show di successo globale

Il lip-sync non nasce come talent show, ma come sketch all’interno del Late Night Show e poi del The Tonight Show di Jimmy Fallon. La trasformazione in format è avvenuta negli USA nel 2015 sul canale via cavo Spike. Il debutto di Lip Sync Battle fu un vero e proprio botto: 2,2 milioni di spettatori totali alla prima puntata, con 1,3 di rating nella fascia 18–49, la più ambita dagli inserzionisti: fu “il più grande debutto non-scripted della storia” di Spike fino a quel momento, decretando un nuovo successo per il network.

I produttori, ai tempi, lo avevano descritto come “light entertainment al suo meglio”: le celebrità “abbassano la guardia” e si mettono in gioco, fanno playback, ballano, si trasformano, in un mix di ironia, spettacolo, musicalità e meme da social (virale è diventata l’esibizione di Tom Holland sulle note di Umbrella). In tutto ne sono state realizzate quattro stagioni, fino al 2019, con alcuni episodi speciali.

Considerata la struttura semplice e rigiocabile ovunque, con un linguaggio (quello della musica) universale, il format si è esportato facilmente e velocemente a valanga: versioni locali in varie Paesi diversi ne testimoniano la versatilità. La Lip-Sync Battle si è fatta così apprezzare in questi dieci anni anche nel Regno Unito, Canada, Portogallo, Brasile, Ucraina, Ungheria, India, Marocco, Messico, Perù, Sud Africa, Tailandia e molte altre Nazioni. Anche in Italia, con una differenza cruciale: da noi Lip-Sync Battle è stato acquistato per diventare un segmento di un altro format.

Non solo intrattenimento, ma anche forma d’arte: la dimensione drag

Fin qui il lip-sync rappresenta un intrattenimento leggero. La questione diventa molto più interessante se si considera il contesto che lo ha codificato come forma d’arte e performance sociale: la cultura drag. A far scoprire questo aspetto del lip-sync è stato RuPaul’s Drag Race, il talent show drag più influente del mondo, vincitore di numerosissimi premi.

Il format (compreso l’adattamento italiano, di cui sono state prodotte tre stagioni ma noi aspettiamo un suo ritorno il prima possibile) prevede che ogni puntata finisca con una lip-sync battle che decide quale drag continuerà la gara e quale debba essere eliminata.

Insomma, non è un semplice divertimento: è un “lip sync for your life” o un “lip sync for your legacy” (nel caso delle edizioni All Stars), cioè l’atto finale che stabilisce destino e narrazione. E che, come hanno dimostrato le numerose edizioni del format americano, riserva anche grandi colpi di scena.

Ma il lip-sync ha radici più profonde nella cultura drag, anche prima del suo approdo televisivo: già negli anni ’80 e ’90, performer drag utilizzavano playback e lip-sync come strumento di espressione, trasformando il palco in un atto di liberazione, ironia e resistenza. Dietro al lip-sync non c’è soltanto show, ma anche identità, cultura e trasformazione.

Il potenziale in Italia e la fatica a vederlo

Dunque, abbiamo constatato che in Italia il lip-sync esiste, ma come elemento secondario, segmento simpatico dentro  uno show già esistente. Ed è quel che fa Tú sí que vales, che con la lip-sync battle ha trovato un intelligente escamotage per reinventarsi e proporre al pubblico qualcosa che vada oltre la semplice esibizione dei talenti davanti ai giudici e che, al tempo stesso, rimarca una delle regole principali del genere talent, per cui la giuria è fondamentale nel decretare il successo del programma.

Il segmento funziona: lo dimostrano gli ascolti del sabato sera di Canale 5 e i commenti divertiti sui social netwok. Ma ad oggi non è stato fatto nessun investimento serio per farlo diventare uno show autonomo e riconoscibile come brand. Questo approccio spreca le potenzialità di un format che altrove ha generato audience e clip virali, facendo scoprire al pubblico mainstream una tendenza già nota in ambienti più piccoli.

Il paradosso ancora più grande è che proprio in un momento in cui la televisione italiana cerca contenuti “spillolabili” (ovvero che possano essere facilmente estrapolabili dal loro contesto originale per essere proposti come clip sui social), l’Italia si accontenta.

Perché oggi avrebbe senso rilanciare un show Lip-Sync Battle in Italia

Eppure, i vantaggi di avere uno show interamente costruito sulla Lip-Sync Battle in Italia potrebbe avere numerosi vantaggi, a cominciare dai costi controllati: il format richiedere scenografie essenziali, playback anziché live singing e contenuto “leggero ma vendibile”.

C’è poi il potenziale virale: le clip con la celebrità di turno che ne interpreta un’altra e si esibisce in situazioni in cui mai l’avremmo potuta vedere diventano perfette per i social e per creare engagement (ciò che oggi fa la fortuna di show e formati globali).

Guardando più a fondo, si può anche dire che questo format genera accessibilità e inclusione. Se integrato con una sensibilità culturale (magari anche ispirandosi alla cultura drag), potrebbe attirare pubblici diversi: famiglie, giovani, appassionati di musica, comunità queer, fan di spettacolo leggero. Il tutto grazie alla sua identità immediata, con un meccanismo riconoscibile, facile da comunicare e da vendere.

Perché non succede, allora?

In Italia la Lip-Sync Battle è già dentro un contenitore forte, consolidato e a suo agio con il pubblico: Tú sí que vales, che ne beneficia anche in termini di scaletta, riuscendo a variare il contenuto di ogni puntata senza diventare troppo ripetitivo.

Spostare questo format altrove significherebbe rischiare, trovare tempo e fiducia in un progetto nuovo. Possiamo anche immaginare che in quel di Mediaset qualcuno abbia provato ad affrontare la questione con De Filippi, magari proponendole di produrre una versione italiana di Lip-Sync Battle. E che lei, furbescamente, potrebbe aver preferito per ora declinare l’invito e tenerselo stretto per il suo show produttivamente più impegnativo. Il punto è: sarà così per sempre?

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