Come L’Esorcista ha fatto tremare anche la televisione
l'esorcista

In tempo di Halloween, una bella storia ‘da brividi’! Nel 1984 Italia 1 lo mandò in prima serata alle 20:25, scatenando una bufera morale, politica e culturale. Da scandalo a classico notturno, la storia di un film che ha cambiato per sempre la tv.

Siamo in periodo di Halloween, dunque perché non raccontarvi una storia da brivido? Sta nella tradizione no?

Prima ancora di apparire sul piccolo schermo, L’Esorcista era già una leggenda. Non un semplice film, ma un mito nero, un racconto che aveva superato il confine del cinema per entrare dritto nell’immaginario collettivo. Quando negli anni ’80 qualcuno decise di trasmetterlo in tv, non stava programmando un film horror: stava invitando il diavolo nel salotto degli italiani.

Il film che sconvolse il mondo

Quando L’Esorcista di William Friedkin arrivò nei cinema americani il 26 dicembre 1973, il mondo non era pronto, nessuno lo era davvero. In poche ore, il film diventò una specie di esperimento sociologico: un titolo capace di scatenare reazioni fisiche e collettive come nessun altro nella storia del cinema. Le cronache dell’epoca raccontano di spettatori che svenivano, file chilometriche davanti ai cinema, panico, convulsioni, persino vomiti. I giornali e i telegiornali cavalcarono la notizia, alimentando un’isteria mediatica che trasformò il film in qualcosa di più di un horror: un evento culturale globale, una leggenda del terrore.

L’attesa per l’arrivo in Italia fu febbrile. Quando sbarcò nelle sale nell’autunno del 1974, con data d’uscita fissata al 4 ottobre, L’Esorcista era già un fenomeno. Un film di cui si parlava come di una maledizione, una prova di coraggio collettiva. E così fu: il successo fu immediato e devastante, ma anche accompagnato da un acceso dibattito.

In Italia, la commissione di censura decise per un divieto ai minori di 14 anni, una scelta relativamente permissiva rispetto al più rigido visto americano “R”, che lo riservava ai soli adulti accompagnati. Ma bastò poco per capire che neppure un cartello di divieto poteva contenere l’effetto del film. Le sue immagini – così crude, così esplicite – colpirono una società che non aveva mai visto il male raccontato in modo così diretto, né la religione messa alla prova con tanta ferocia. L’Esorcista fu una scossa culturale, un trauma collettivo travestito da blockbuster.

A rendere tutto ancora più oscuro arrivarono le leggende. Quelle storie, vere o presunte, che contribuirono a scolpire il mito. Si parlò di incendi misteriosi sul set (l’unica stanza rimasta intatta era quella di Regan), di morti improvvise tra i membri della troupe e i familiari del cast – come il fratello di Max von Sydow o la nonna di Linda Blair – e di incidenti inspiegabili avvenuti durante le riprese. Tutto questo alimentò l’idea che L’Esorcista fosse un film maledetto, circondato da un’aura quasi sovrannaturale. Ma il paradosso è che questo alone di paura non fece che accrescere la sua potenza.

A dispetto dei presagi, il film divenne anche un trionfo di critica. L’Esorcista fu il primo horror della storia a essere candidato all’Oscar come Miglior Film, con dieci nomination e due statuette vinte: Miglior Sceneggiatura non Originale e Miglior sonoro. Un riconoscimento impensabile per un film che parlava di possessione e bestemmie, e che invece finì per ridefinire i confini dell’horror d’autore.

L’approdo in tv 11 anni dopo

Questa doppia anima – da un lato maledetta, dall’altro consacrata – preparò il terreno per tutto ciò che sarebbe venuto dopo. Il decennio che separò l’uscita in sala dalla prima trasmissione televisiva non fu un periodo di silenzio, ma di sedimentazione del mito. L’Esorcista non sparì: covava sotto la superficie, alimentato da un forte passaparola, articoli di giornale e videocassette passate di mano in mano come se fossero delle reliquie proibite.

Così, quando nel 1984 si decise di portarlo per la prima volta in tv, L’Esorcista non era più solo un film: era diventato una leggenda popolare, una scorciatoia culturale per dire “orrore puro”. Tutti sapevano di cosa si parlava, anche chi non l’aveva mai visto. La sua prima messa in onda televisiva, quindi, non fu una sorpresa, ma un evento annunciato. E soprattutto, una mossa calcolata.

Perché in fondo, nel 1984, trasmettere L’Esorcista in prima serata non era solo un rischio editoriale: era una dichiarazione d’intenti. Il film che aveva terrorizzato il mondo stava per entrare nel cuore della casa italiana. E, inevitabilmente, la polemica non fu una conseguenza: fu il vero obiettivo.

La tv degli anni ’80 tra monopolio e far west mediatico

Per capire davvero la portata della messa in onda de L’Esorcista, bisogna scattare una delle nostre fotografie, più in generale all’Italia degli anni ’80. Un paese in piena transizione, un campo di battaglia tra due mondi: da una parte la vecchia televisione pubblica, istituzionale e moraleggiante, dall’altra un nuovo sistema privato, veloce, colorato e pronto a rompere tutti i tabù. In quegli anni la televisione non era solo intrattenimento, era una guerra culturale. E dentro quella guerra, L’Esorcista divenne un’arma potentissima.

Dalla paleotelevisione alla neotelevisione

Per decenni, la tv italiana era stata un’estensione del salotto buono del Paese. Il modello RAI, quello della cosiddetta “Paleotelevisione” definita da Umberto Eco, era educato, didattico e rassicurante. Un servizio pubblico che si vedeva come una guida morale, più che come un mezzo d’intrattenimento. Niente eccessi, niente volgarità, niente ambiguità. La linea era chiara: la tv doveva insegnare, non sedurre.

Poi arrivarono gli anni ’80, e con loro un terremoto chiamato Neotelevisione. Il linguaggio cambiò, i toni si alzarono, la pubblicità esplose. I palinsesti iniziarono a parlare di desiderio, leggerezza e consumo. Niente più “televisione pedagogica”: ora contavano lo share e la spettacolarità. La Rai cercava ancora di spiegare il mondo, ma le reti private di Fininvest — appena nate — volevano dominarlo.

L’identità editoriale di Italia 1

Dentro l’universo Fininvest, Italia 1 fu subito la più ribelle. Se Canale 5 puntava su famiglie e varietà rassicuranti, Italia 1 si posizionava come la rete dei giovani, degli outsider, dei “nuovi italiani”. Il suo palinsesto era un’esplosione di cultura pop internazionale: Supercar, Happy Days, L’uomo da sei milioni di dollari, e un esercito di cartoni giapponesi che avrebbero educato un’intera generazione al ritmo di sigle e robottoni.

Accanto a questi titoli, la rete lanciava produzioni originali dissacranti come Drive In, un varietà satirico che ribaltò tutti i codici televisivi. Comicità fulminea, ritmo pubblicitario, linguaggio irriverente e donne in primo piano. Era la tv del consumo, dell’ironia e del corpo, il contrario della tv di Stato. Italia 1 non era solo una rete privata: era una dichiarazione di indipendenza culturale, la voce di un’Italia più moderna, laica e veloce.

Il clima politico dell’ottobre 1984

Quando L’Esorcista arrivò su Italia 1, l’autunno del 1984 non era una stagione tranquilla. Il sistema delle tv private viveva in una zona grigia di semi-legalità, e la tensione cresceva giorno dopo giorno. I magistrati di Torino, Roma e Pescara stavano preparando provvedimenti per bloccare le trasmissioni Fininvest, considerate una violazione del monopolio pubblico. L’interconnessione era sul banco degli imputati e il rischio era l’oscuramento delle reti.

In quei giorni, Berlusconi combatteva una guerra per la sopravvivenza. L’aria era elettrica: da un lato la magistratura, dall’altro la politica che iniziava a rendersi conto del potere mediatico del Cavaliere. Il braccio di ferro avrebbe trovato soluzione poche settimane dopo, con il famoso “Decreto Berlusconi” firmato da Bettino Craxi, che legalizzò di fatto le trasmissioni private salvando Fininvest dal blackout.

È dentro questo scenario ad altissima tensione che Italia 1 decide di mandare in onda L’Esorcista. Non un film qualsiasi, ma un simbolo. Una pellicola che conteneva tutto ciò che la cultura tradizionale detestava: blasfemia, violenza, psicosi e America. Una sfida aperta alla RAI, alla Chiesa e a tutto ciò che rappresentava il vecchio ordine televisivo.

Mandare in onda questa pellicola nel 1984 non fu solo un colpo di programmazione, fu un gesto politico. Italia 1 stava dicendo: “Siamo noi la nuova Italia. Noi decidiamo cosa si può vedere e cosa no”. Era una mossa di potere, un atto di sfida, un’esibizione di forza culturale nel momento in cui il vecchio sistema stava vacillando. Con quella scelta, Fininvest lanciava il suo messaggio più chiaro e provocatorio: non è più la RAI a dettare le regole del gusto.

E mentre il Paese discuteva di censura, morale e televisione, L’Esorcista diventava il simbolo perfetto della nuova era televisiva italiana: scandaloso, popolare, spregiudicato e irresistibile.

Venerdì 5 ottobre 1984, la prima de L’Esorcista su Italia 1

C’è una data che segna il momento in cui la tv italiana decise di “guardare il male negli occhi“: venerdì 5 ottobre 1984. Quel giorno, in prima serata su Italia 1, andò in onda L’Esorcista. Non un horror qualsiasi, ma il film più discusso, temuto e censurato degli ultimi dieci anni. E quella sera, la tv italiana non fu più la stessa.

La prova è scritta nero su bianco negli archivi de l’Unità o de La Stampa, quotidiani che ogni giorno pubblicano i palinsesti delle reti tv. Nella pagina degli spettacoli del 5 ottobre 1984, in mezzo ai titoli dei programmi serali, compare la voce che avrebbe fatto storia:

Italia 1 – ore 20.25 – “L’Esorcista”

Una riga secca, asciutta, ma capace di accendere una miccia destinata a bruciare per anni. Quella nota di palinsesto non solo certifica la prima messa in onda assoluta del film in chiaro, ma rivela anche il dettaglio più dirompente di tutti: l’orario.

Il significato della collocazione oraria

Oggi si parla tanto della tarda partenza della prima serata, beh, le 20:25 non erano un orario qualsiasi. Erano il prime time per eccellenza, la fascia sacra del venerdì sera, quella riservata ai grandi varietà, ai film per famiglie, ai titoli capaci di unire il paese davanti al televisore. Portare in quello spazio un film come L’Esorcista fu un gesto clamoroso, quasi provocatorio.

Significava far entrare la blasfemia, la paura e il turbamento nel cuore della televisione generalista. A quell’ora, milioni di italiani erano davanti alla tv, compresi ragazzi e bambini. È difficile immaginare oggi la portata di una decisione simile: mettere in prima serata un film in cui una ragazzina posseduta insulta un prete e ruota la testa a 360 gradi. Un atto editoriale spregiudicato, pensato per ottenere massima esposizione e massimo impatto.

Italia 1, che in quegli anni costruiva la propria identità sull’irriverenza e sull’energia da rete giovane, fece qualcosa di più di una semplice mossa di palinsesto: lanciò una dichiarazione di indipendenza culturale. Se fino a quel momento la rete alternava film d’azione e western leggeri, ora metteva sul piatto un titolo psicologico, disturbante, religioso, e soprattutto americano fino al midollo. Una scelta calcolata, audace, e destinata (inevitabilmente) a far discutere.

L’esplosione della polemica

La sera del 5 ottobre 1984 non si chiuse con i titoli di coda. Dopo i due preti e la bambina posseduta, sarebbe arrivato il vero esorcismo: quello mediatico. La messa in onda de L’Esorcista su Italia 1 scatenò un’ondata di reazioni rabbiose e opposte, trasformando una scelta di palinsesto in un caso culturale e politico. Non si discuteva più di un film, ma del ruolo stesso della televisione e della sua influenza sulla morale pubblica.

La condanna morale e religiosa

Il mondo cattolico e conservatore, prevedibilmente, reagì come davanti a una bestemmia in diretta. Anche se le cronache del 1984 non riportano dichiarazioni ufficiali, il pensiero dominante di quella stagione era chiarissimo: film come L’Esorcista non dovevano entrare nelle case italiane. La voce simbolo di questo fronte era quella di padre Gabriele Amorth, l’esorcista più famoso d’Italia, che per anni avrebbe ammonito contro la presenza del demonio “anche dentro la televisione”.

Per uomini come Amorth, la tv non era solo un mezzo d’informazione, ma uno strumento di contaminazione morale: veicolo di violenza, sess0, e negazione di Dio. In quest’ottica, trasmettere L’Esorcista in prima serata equivaleva a un gesto di gravità assoluta: una profanazione del rito, un’offensiva diretta contro la fede. L’idea di rendere spettacolo la possessione, la blasfemia e la lotta tra preti e demoni era percepita come un atto di irresponsabilità collettiva.

Questa indignazione arrivava in un clima internazionale già infiammato: erano gli anni del cosiddetto “Satanic Panic”, la grande psicosi morale che attraversava gli Stati Uniti e poi l’Europa. Secondo questa visione, ogni forma di cultura pop – dai film horror ai dischi heavy metal, dai fumetti ai giochi di ruolo – rappresentava un pericolo per la gioventù, una porta socchiusa verso il male. In Italia, il timore trovò sponde nelle associazioni cattoliche e nei primi gruppi di genitori che vigilavano sulla tv, antenati del futuro Moige, destinato a diventare un osservatore potente e spesso temuto.

Per loro, la decisione di Italia 1 era uno scandalo morale e pedagogico: un atto di sfida al senso comune e alla protezione dei minori. L’idea che un bambino potesse imbattersi nel diavolo a cena era, letteralmente, la prova che la televisione stava perdendo la sua anima.

La difesa artistica e teologica

A questa lettura da crociata si opponeva un fronte altrettanto convinto: quello degli autori e dei critici. Il regista William Friedkin e lo scrittore William Peter Blatty, fervente cattolico, avevano sempre sostenuto che L’Esorcista non fosse un film satanico, ma esattamente l’opposto. Per loro, era una storia di fede: un dramma sulla lotta tra il Bene e il Male, una parabola moderna in cui la fede trionfa sulla disperazione.

Non è un film sul demonio”, ripetevano nelle interviste, “ma sul potere della fede che resiste al demonio” Nelle intenzioni originali, la violenza e il disgusto servivano a esaltare la forza del sacrificio, non a banalizzare il male. In questa prospettiva, trasmettere L’Esorcista non significava turbare il pubblico, ma offrirgli una riflessione estrema sulla spiritualità.

Una parte della critica intellettuale italiana accolse questa lettura con rispetto. Per loro, l’operazione di Italia 1 non era una provocazione, ma un atto culturale: la possibilità di far dialogare la cultura pop con quella teologica, di portare nel salotto degli italiani un racconto che, dietro le urla e i demoni, parlava di fede, dubbio e amore.

La logica commerciale di Fininvest

C’era però un terzo punto di vista, e probabilmente il più realistico: quello di Fininvest. Nel duello a colpi di share con la RAI, ogni polemica era un’occasione d’oro. L’indignazione, più che un rischio, era una strategia di marketing. Una protesta valeva quanto una campagna pubblicitaria.

Era una mossa perfettamente calibrata per massimizzare gli ascolti e attirare l’attenzione mediatica. La discussione pubblica avrebbe fatto il resto: articoli, lettere, dibattiti, condanne. Tutta pubblicità gratuita per la rete. Fininvest non cercava di evitare lo scandalo, lo pianificava. La polemica era parte del copione.

Il film, con la sua guerra tra fede e scienza, tra casa borghese e male invisibile, diventò il campo di battaglia perfetto per queste due visioni del mondo. Non si discuteva più di una bambina posseduta, ma del tipo di Paese che l’Italia stava diventando: quello che censura per proteggere, o quello che mostra tutto per vendere.

L’eco dello scandalo

Nessun taglio dell’ultimo minuto, nessun oscuramento. Il film andò in onda regolarmente alle 20:25 e fece discutere per giorni. Ma se nel breve termine la tempesta svanì, nel lungo periodo il suo effetto fu enorme. Da allora, ogni volta che L’Esorcista tornava in tv, lo faceva con un’ombra addosso.

Lo scandalo del 1984 fissò per sempre l’immagine di L’Esorcista come contenuto pericoloso. Era diventato un simbolo di rottura, ma anche un fardello: ogni sua nuova messa in onda veniva preceduta da esitazioni, cautele, bollini rossi, orari posticipati.

Tutti i passaggi de L’esorcista

Ecco tutte le sue apparizioni televisive, alcune di queste con passaggi accuratamente inseriti in seconde e terze serate, soprattutto nel periodo in cui il film è stato ripreso dalla Rai:

  • 05/10/1984 – Italia 1, 20:25
  • 23/01/1986 – Italia 1, 20:30
  • 18/09/1987 – Italia 1, 20:30
  • 13/10/1988 – Rete 4, 20:40
  • 26/02/1994 – Rai 3, 22:50
  • 13/04/1996 – Rai 3, 03:35
  • 04/07/1999 – Rai 3, 03:10
  • 07/07/2001 – Rai 2, 00:15
  • 15/09/2003 – Italia 1, 21:45 (slittato di ~30’)
  • 21/09/2004 – Rete 4, 23:25
  • 10/12/2005 – Canale 5, 23:50
  • 25/08/2007 – Italia 1, 02:00
  • 20/02/2008 – Rete 4, 23:30
  • 09/10/2009 – Rete 4, 00:20
  • 15/07/2012 – Rete 4, 23:55
  • 18/06/2013 – Italia 1, 21:15
  • 10/07/2014 – Rete 4, 23:45
  • 10/02/2015 – Rete 4, 21:20
  • 10/12/2015 – Rete 4, 23:16
  • 11/08/2017 – Rete 4, 23:10
  • 23/08/2018 – Rete 4, 23:45
  • 17/07/2019 – Rete 4, 00:00
  • 29/10/2022 – Italia 1, 02:45
  • 08/08/2023 – Rete 4, 23:20

In totale, L’Esorcista è andato in onda 24 volte sulle reti generaliste tra il 1984 e il 2023. Ecco qualche dato che racconta meglio di mille editoriali quanto la tv italiana lo abbia “gestito con i guanti”:

  • Rete 4 è la più coraggiosa: 12 passaggi totali.
  • Italia 1 – la prima rete che lo mandò in onda – segue con 7.
  • Poi Rai 3 (3), Rai 2 (1) e Canale 5 (1).
  • Il 46% dei passaggi è in tarda serata, il 25% addirittura dopo mezzanotte.
  • L’orario più audace: 20:25 (Italia 1, 1984).
  • Il più estremo: 03:35 (Rai 3, 1996).

La memoria collettiva dei telespettatori italiani – e di chi ne ricorda gli “spostamenti orari” – nasce da questa evoluzione. È un mix tra il trauma della prima volta e le strategie di autocensura che arrivarono dopo.

Un esempio emblematico arriva da una testimonianza del 2003, quando Italia 1 tornò a mandarlo in onda tra mille polemiche nonostante fosse al suo nono passaggio totale. L’Osservatorio sui Diritti dei Minori, guidato da Antonio Marziale, insorge. Marziale chiede l’intervento di Fedele Confalonieri, accusando Mediaset di violare il Codice di Autoregolamentazione TV e Minori:

Uno speciale preventivo e un bollino rosso non impediscono, di fatto, al bambino solitario di impattare con immagini terrificanti come quelle de L’Esorcista.

Il direttore di rete Luca Tiraboschi decide allora di slittare l’orario dalle 21:00 alle 21:45, facendo precedere il film da uno speciale di Lucignolo e inserendo un avviso ai telespettatori. Non una censura formale, ma una mediazione simbolica tra libertà editoriale e prudenza etica: una piccola mossa di palinsesto che diventa un caso nazionale.

Le scene più forti – il crocifisso, il linguaggio blasfemo, l’arteriogramma (che lo stesso Friedkin considerava la sequenza più scioccante del film) — vennero sistematicamente tagliate con una durata drasticamente ridotta. Un’operazione chirurgica pensata per rendere il film più “accettabile” al pubblico generalista. Il risultato? Era ancora L’Esorcista, ma sembrava un film senza il suo cuore nero.

A livello internazionale, non era una novità. Già negli Stati Uniti la CBS aveva prodotto una versione televisiva ampiamente ripulita, pensata per la visione domestica. Non risulta che quella versione sia mai arrivata in Italia, ma la sua sola esistenza racconta molto: L’Esorcista era così potente da dover essere “addomesticato” ovunque venisse trasmesso. La paura doveva essere contenuta, o perlomeno programmata con il telecomando in mano.

L’eredità televisiva

Dopo l’irruzione del 1984, il film non venne più trattato come un titolo qualsiasi: da evento di rottura divenne un oggetto delicato, da collocare con prudenza e rispetto. Le sue apparizioni successive furono sempre più rare e notturne, spesso all’interno di rassegne come la celebre Notte Horror di Italia 1 o in versioni tagliate fino a renderlo quasi irriconoscibile.

Quella prima trasmissione aveva tracciato una linea: sì, si poteva mandare in onda L’Esorcista, ma solo se lo si faceva a distanza di sicurezza. Le scene più estreme sparivano, l’orario si spostava dopo mezzanotte, e l’aura di scandalo si trasformava in rituale televisivo. Era come dire: il male può entrare in casa, ma solo quando il Paese dorme.

Lo shock del debutto aveva fatto il suo corso: adesso contava la gestione. Così la provocazione divenne cautela, e il film che un tempo serviva a rompere le regole finì per essere usato per confermarle.

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