

Dalla stagione “pirata” degli anni ’70 al terremoto dello switch-off 2022: viaggio nella storia delle televisioni locali venete, tra informazione, sport, identità e nuove sfide digitali.
La storia delle televisioni locali in Veneto nasce in un momento preciso e decisivo: la fine del monopolio assoluto della Rai. Per decenni lo Stato aveva controllato in modo esclusivo la trasmissione televisiva, ma a metà degli anni Settanta questo equilibrio cominciò a incrinarsi sotto la spinta di cambiamenti sociali, tecnologici e giuridici ormai impossibili da ignorare.
Il Veneto si inserisce in questo passaggio storico con una rapidità sorprendente, trasformando una fase di incertezza normativa in un’occasione concreta di sperimentazione e crescita.
La nascita di un nuovo sistema tv: la sentenza che cambia tutto
Il via libera (imperfetto) alle tv locali
Il vero punto di svolta è sempre quello, ed è sempre bene ribadirlo perché dà il là a tutto: la sentenza n. 202 della Corte Costituzionale del 1976, considerata il “big bang” dell’emittenza privata italiana. Con questa decisione, la Corte dichiara illegittimo il monopolio statale della radiodiffusione in ambito locale, richiamando i principi di uguaglianza e libertà di espressione sanciti dagli articoli 3 e 21 della Costituzione.
La pronuncia nasce da un caso concreto – trasmissioni via etere non autorizzate sollevate dal pretore di Ragusa – ma ha un effetto dirompente su tutto il Paese. Per la prima volta viene riconosciuto il diritto di trasmettere a livello locale, soprattutto attraverso sistemi alternativi come il cavo.
Il problema è che la sentenza lascia aperto un nodo fondamentale: se da un lato il diritto di comunicare viene riconosciuto, dall’altro lo Stato continua a riservarsi il controllo sulle frequenze. Ne nasce una zona grigia normativa, in cui la libertà di parola è ammessa, ma gli strumenti tecnici per esercitarla non sono ancora regolamentati.
È proprio in questo vuoto che germoglia la stagione delle tv locali.
Il Veneto come terreno di sperimentazione
Spirito imprenditoriale e identità territoriale
Quella che per molti poteva sembrare una situazione caotica, in Veneto diventa una grande opportunità. In una regione storicamente segnata da un forte tessuto di piccole e medie imprese e da un marcato senso di autonomia, l’“anarchia dell’etere” viene letta come uno spazio da occupare, non come un limite.
La nascita delle prime televisioni locali non è solo una battaglia per la libertà di espressione, ma anche un atto imprenditoriale e identitario. Le emittenti diventano strumenti per raccontare il territorio, le sue comunità, il suo dialetto e le sue priorità.
Questa fase pionieristica è stata raccontata anche dal regista veneto Lorenzo Pezzano nel documentario Gli Antennati, il Veneto e la nascita della tv libera, che ricostruisce l’avventura dei primi “pirati” dell’etere tra gli anni ’60 e ’80. Il Veneto emerge non come semplice spettatore, ma come uno dei veri laboratori della transizione dal monopolio Rai alla televisione privata.
L’epoca dei pionieri
La corsa alle frequenze (1974–1980)
A differenza di altre regioni dominate da un grande centro metropolitano, il Veneto sviluppa fin da subito un sistema televisivo policentrico. Ogni provincia sente l’esigenza di dotarsi di una propria voce sullo schermo, dando vita a una vera e propria corsa all’occupazione delle frequenze UHF.
Tra il 1978 e il 1979 nasce la gran parte delle emittenti storiche, in un clima di entusiasmo, improvvisazione e forte radicamento locale.
Padova
E’ uno dei primi territori a muoversi. TelePadova nasce nel 1974 come emittente via cavo per iniziativa di Giorgio Galante, già fondatore di Radio Padova. Le prime trasmissioni partono dalla soffitta della sua abitazione, prima del trasferimento negli studi di via Pelizzo.
Nel 1978 arriva il salto decisivo: grazie al supporto di radioamatori, TelePadova passa all’etere, sperimentando sui canali UHF 42 e 65. In breve tempo l’emittente riesce a coprire non solo il Veneto, ma anche il Friuli Venezia Giulia, diventando uno dei casi più avanzati del Nord-Est.
Treviso
Il 16 dicembre 1978 segna la nascita di Antenna 3 Veneto, con sede iniziale in via Pisa. Le trasmissioni partono sui canali UHF 59 e 61, con un palinsesto generalista che mescola film, telefilm, cartoni animati e intrattenimento.
Fin dai primi mesi trovano spazio anche l’informazione locale – con il telegiornale Video Treviso – e programmi legati al folklore e alla vita del territorio. È l’inizio di un percorso che porterà Antenna 3 a diventare uno dei principali punti di riferimento televisivi regionali.
Venezia
Nel capoluogo lagunare l’esperienza pionieristica prende forma con TeleVenezia International. Già negli anni ’70 l’emittente si distingue per una redazione giornalistica strutturata, considerata addirittura precedente a quella di Antenna 3.
Figura centrale di questa fase è Curzio Pettenò, affiancato da giornalisti come Enrico Soci e Claudio Motta. Questa impostazione conferisce fin da subito a TeleVenezia – oggi Televenezia, canale 80 – una forte vocazione informativa, che resterà uno dei suoi tratti distintivi nel tempo.
Verona
A Verona le trasmissioni di TeleArena iniziano nel 1979, ma la vera svolta arriva nel 1984 con l’acquisizione da parte del Gruppo Editoriale Athesis, editore dello storico quotidiano L’Arena.
L’operazione rappresenta uno dei primi esempi in Italia di integrazione tra stampa e televisione locale. Una scelta lungimirante che garantisce all’emittente una struttura editoriale solida e un modello multimediale che diventerà comune solo molti anni dopo.
Vicenza
Nel 1978 nasce TVA Vicenza, conosciuta anche come TeleVicenza. L’emittente si afferma rapidamente come riferimento televisivo per il territorio, costruendo un legame stretto con la provincia berica.
Oggi è edita da Videomedia S.r.l. e rappresenta uno degli esempi più longevi di televisione locale radicata nel territorio.
Belluno
Nel territorio montano bellunese la sfida è ancora più complessa. L’emittenza locale prende forma con Teledolomiti, a cui si affianca successivamente Telebelluno. Dalla fusione delle due realtà nasce Telebellunodolomiti, un’emittente profondamente legata al territorio.
Per decenni ha rappresentato un presidio informativo fondamentale per le vallate dolomitiche, definendosi come l’unica televisione nata e operante esclusivamente in questo contesto geografico.
Rovigo
Anche il Polesine entra nella corsa all’etere nell’ottobre 1978 con la nascita di Tele Rovigo, con sede iniziale in piazza Garibaldi. Trasmettendo sul canale UHF 46, l’emittente copre fin da subito un’area ampia che include Rovigo, Padova e Ferrara.
All’inizio degli anni ’80 il progetto si amplia ulteriormente: l’emittente cambia nome in TeleRegione Veneto e trasferisce la sede a Noventa Padovana, puntando a un bacino di copertura interprovinciale.
Le emittenti pioniere del veneto (1974-1979)
| Provincia | Emittente (Denominazione Originale) | Anno Fondazione | Figura/i Chiave (Fondatori/Pionieri) |
| Padova | TelePadova | 1974 (cavo), 1978 (etere) | Giorgio Galante |
| Treviso | Antenna 3 Veneto | 1978 | |
| Venezia | TeleVenezia International | circa 1977-1978 | Curzio Pettenò |
| Verona | TeleArena | 1979 | (Acq. Athesis 1984) |
| Vicenza | TVA Vicenza | 1978 | (Editore: Videomedia) |
| Belluno | Teledolomiti / Telebelluno | circa 1977-1978 | |
| Rovigo | Tele Rovigo | 1978 |
Gli anni d’oro delle tv venete
Contenuti, identità e impatto reale negli anni ’80
Negli anni ’80 le televisioni locali in Veneto diventano molto più di un esperimento nato nel vuoto normativo: entrano nella vita quotidiana delle persone e finiscono per influenzare il modo in cui la regione si racconta e si percepisce. Non si limitano a “riempire palinsesti”: contribuiscono a costruire un’immagine collettiva del Veneto, orientano l’agenda locale e, in modo indiretto ma potente, incidono anche sul dibattito pubblico e politico.
La rivoluzione dell’informazione “sotto casa”
Il prodotto davvero dirompente portato dalle tv locali è l’informazione quotidiana. Il TGR Rai copriva la regione con un taglio più istituzionale e spesso centralizzato; le emittenti private, invece, fanno una cosa nuova: portano le telecamere dentro la vita reale delle province. Cronaca, politica comunale, eventi di quartiere, incidenti, processi, storie “minime” che però sono quelle che toccano davvero le persone.
Ogni territorio costruisce il proprio racconto giornalistico, e i telegiornali locali diventano appuntamenti fissi:
- TelePadova avvia prima Newline e poi Il Tg di TelePadova.
- Antenna 3 cresce attorno a Video Treviso e a una redazione che negli anni ’80 include volti destinati a diventare familiari al pubblico, come Davide Camera e Laura Ferretto.
- TeleArena, grazie alla sinergia con il quotidiano L’Arena, sviluppa una redazione strutturata guidata per anni da Mario Puliero.
- TeleVenezia valorizza la forza della redazione impostata da Curzio Pettenò, già riconosciuta come particolarmente solida fin dagli anni pionieristici.
Da qui nasce anche un fenomeno tipico delle tv locali: i giornalisti del territorio diventano “persone di casa”, riconosciute e ascoltate come punti di riferimento. Un esempio è Alessandra Mercanzin, che dopo l’esperienza ad Antenna 3 viene poi arruolata nel 1991 da 7 Gold: un passaggio che racconta bene come quel mondo creasse professionalità e volti riconoscibili.
Lo sport come calamita: il “campanile” che fa ascolti e fidelizza
Se l’informazione è la grande rivoluzione, lo sport è il motore che fa massa, ascolti e fedeltà. Le tv venete capiscono una cosa prima di tanti altri: il calcio “di provincia” non è un riempitivo, è un’identità. E la Rai, in quell’epoca, lo lascia spesso ai margini.
Le emittenti locali intercettano questa fame di racconto sportivo e costruiscono un vero genere: il talk sportivo del territorio, appuntamento rituale della settimana, spesso commentato con toni accesi e con l’uso naturale del dialetto.
- TelePadova lancia Fuori Gioco, programma pionieristico definito “una sorta di Domenica Sportiva del Triveneto”. Conduzioni come quelle di Gildo Fattori e Giuseppe Bonura fanno scuola: non solo Calcio Padova, ma anche Verona, Vicenza, Venezia-Mestre, Triestina, Udinese, con aperture pure su sport molto radicati come basket e rugby.
- TeleArena rafforza il legame con l’Hellas Verona con trasmissioni entrate nella memoria come Gialloblù Superstar, evoluzione di Diretta Gialloblù.
Il risultato è un legame fortissimo con le tifoserie e con l’idea di “campanile”: lo sport diventa un modo per raccontare appartenenze, rivalità e orgoglio locale, e le tv locali diventano parte del rito.
Palinsesti “misti”: tra programmi comprati e anima autoprodotta
Per reggere la competizione con la Rai e con le prime grandi reti commerciali, le emittenti venete adottano una strategia ibrida, fatta di due ingredienti complementari.
Da un lato c’è la syndication, cioè l’acquisto di programmi “pronti”: film, telefilm, cartoni, pacchetti nazionali. Non è un dettaglio: serve a riempire ore e ore di palinsesto con prodotti di richiamo. In quegli anni, praticamente tutte le emittenti storiche – da TelePadova ad Antenna 3 – trasmettono ad esempio Superclassifica Show di Maurizio Seymandi. Molte aderiscono anche a circuiti nazionali come Euro Tv (con affiliati come TelePadova e TeleRegione) o Junior Tv, che garantiscono un flusso continuo di contenuti.
Dall’altro lato, però, c’è ciò che fa davvero “identità”: l’autoproduzione locale, che è l’anima dell’emittente. Programmi di folklore, quiz, giochi, talk di paese: contenuti spesso semplici, ma radicatissimi. Su Antenna 3, per esempio, spicca Cantaveneto di Gianni Maser, e attorno a quel modello proliferano tanti appuntamenti che parlano la lingua del territorio e diventano riconoscibili proprio perché non potrebbero esistere altrove.
Un’eco politica inevitabile: quando il localismo trova il suo megafono
La crescita esplosiva delle tv locali tra il 1978 e 1979 avviene in coincidenza quasi perfetta con la nascita della Liga Veneta (di fatto nel 1979, formalmente nel 1980). Questa sovrapposizione non è solo temporale: è una dinamica che finisce per diventare quasi “simbiosi”.
La Liga costruisce la propria comunicazione su temi locali ignorati dai partiti nazionali: difesa del territorio, fiscalità, rapporto con lo Stato centrale, identità. Lo fa anche con slogan duri e identitari, come “ROMA LA NE CIUCIA EL SANGUE”.
Le tv locali, nate a loro volta dentro una spinta “autonoma” e in opposizione (anche culturale) al monopolio romano della Rai, sono il contenitore perfetto per quel tipo di messaggio. Dando spazio a dibattiti municipali, cronaca provinciale, uso del dialetto e questioni quotidiane, queste emittenti forniscono alla Liga una visibilità e una legittimazione che sui media nazionali sarebbe stata molto più difficile ottenere. Volontariamente o meno, diventano una cassa di risonanza del localismo veneto: e l’ascesa politica di quel clima negli anni ’80 si intreccia in modo stretto con l’ascesa di questo ecosistema mediatico.
Dal Far West alle regole
Mammì e Gasparri: lo Stato prova a rimettere ordine
Il “Far West” dell’etere – occupazione aggressiva delle frequenze, sovrapposizioni, equilibri precari – non poteva durare per sempre. Tra anni ’90 e 2000 arriva la fase in cui lo Stato prova a normalizzare un settore cresciuto in modo caotico. Due leggi, più di tutte, ridisegnano lo scenario e cambiano anche il destino delle emittenti locali.
La Legge Mammì (1990)
La Legge Mammì (223/1990) è il primo tentativo organico di regolamentare l’emittenza privata. Riconosce formalmente l’esistenza del sistema misto pubblico-privato, ma viene criticata perché, più che rivoluzionare, finisce per “fotografare” la situazione esistente.
In pratica legittima il duopolio nazionale Rai–Fininvest, con limiti antitrust considerati da molti troppo deboli. Per le tv locali porta obblighi concreti (registrazioni, concessioni, burocrazia), ma non introduce un sistema di tutela economica solido.
Tra gli elementi chiave c’è l’articolo 7, che istituisce i Comitati Regionali per i servizi radiotelevisivi (Corerat): organismi consultivi con responsabilità sulla programmazione locale, ma con poteri ridotti e spesso subordinati alle decisioni del Ministero o delle autorità di garanzia. Il risultato è un settore “riconosciuto”, ma non davvero messo nelle condizioni di crescere in modo stabile.
La Legge Gasparri (2004)
La seconda grande svolta arriva con la Legge Gasparri (112/2004), che accompagna il primo passaggio al digitale terrestre, insieme al quadro tracciato dalla precedente Legge Maccanico (249/1997).
La narrativa ufficiale è chiara: il digitale moltiplica i canali, quindi aumenta il pluralismo. In teoria, più spazio per tutti, quindi più possibilità anche per le tv locali. Nella pratica, però, l’idea del “dividendo digitale” si scontra con un dato strutturale: le emittenti locali vivono soprattutto di pubblicità provinciale, e quel mercato è sempre più schiacciato dalla concorrenza nazionale.
In più il digitale non è gratis: aumentano i costi di gestione, entrano in gioco i multiplex e l’audience comincia a frammentarsi proprio mentre, lentamente, una parte del pubblico inizia a migrare verso nuove piattaforme. Da qui la definizione, per molti osservatori critici, di un pluralismo trasformato in “miraggio digitale”: più canali disponibili, ma non necessariamente più sostenibilità reale per chi trasmette.
Il vero terremoto: lo switch-off del 2022
Se il primo switch-off era una transizione tecnologica gestita, la seconda trasformazione digitale del 2022 è un terremoto che ridisegna in modo permanente l’etere veneto.
Perché succede
Il “refarming” del 2022 non nasce per migliorare la tv, ma per una priorità politico-economica: liberare la banda 700 MHz e destinarla agli operatori telefonici per lo sviluppo del 5G, come richiesto da normative europee.
In termini pratici significa una cosa semplice e brutale: meno spazio disponibile per la televisione. Per gestire la scarsità, lo Stato azzera le concessioni precedenti e introduce un nuovo modello: le frequenze non vengono più “occupate” direttamente dalle tv, ma gestite da pochi operatori di rete (in Veneto, ad esempio, RaiWay), che trasportano il segnale delle emittenti autorizzate.
Le graduatorie del MISE: il filtro che decide chi resta e chi sparisce
A questo punto la sopravvivenza di una tv locale dipende dall’ottenimento di un LCN (Logical Channel Number), cioè la posizione nella lista canali. Non è un passaggio automatico: viene stabilito tramite un bando e una graduatoria del Ministero dello Sviluppo Economico.
Ed è qui che esplode la polemica: la FRT (Federazione Radio Televisioni) denuncia un impatto “dirompente” e “devastante”. Il cuore del problema sta nei criteri: non vengono premiati soprattutto anzianità, ruolo culturale, ascolti o radicamento. I punteggi più forti arrivano da parametri aziendali: patrimonio netto, fatturato, numero di dipendenti.
Non è un dettaglio tecnico neutro: è un meccanismo che favorisce strutturalmente i gruppi già solidi e organizzati, e penalizza emittenti storiche magari molto note al pubblico ma più fragili sul piano economico-amministrativo. Da qui il paradosso denunciato dalla FRT: emittenti “insignificanti” per consistenza editoriale finiscono davanti a tv regionali storiche, arrivando in alcuni casi a escluderle dalle posizioni utili.
Esclusioni pesanti e territori a rischio: dalla tv “in chiaro” al rifugio sul web
L’effetto sul Veneto è concreto e duro: alcune emittenti, anche popolari, finiscono fuori dalla nuova mappa.
Spiccano casi come Company Tv (legata a Radio Company) e Radio Adige Tv: quest’ultima rappresentava la rinascita digitale di uno storico marchio, ma viene esclusa dagli spazi limitati del nuovo assetto. La conseguenza è immediata: abbandono forzato della presenza sul digitale terrestre e spostamento totale su web e app per Smart TV, perdendo però quella visibilità “facile” che il tasto del telecomando garantiva.
Nelle zone montane la transizione crea problemi aggiuntivi. A Belluno la riorganizzazione consegna a RaiWay la gestione di soli 6 trasmettitori provinciali, meno del passato: il rischio è un digital divide vero, con vallate del nord della provincia che possono rimanere senza segnale. La stessa Telebellunodolomiti deve intervenire attivando frequenze su una rete ausiliaria per tamponare i buchi di copertura.
La tv veneta oggi: consolidamento, pochi poli forti e nuove strategie (2023–2025)
Dopo lo shock del 2022, il panorama veneto esce trasformato: meno frammentazione, più concentrazione. L’epoca dell’imprenditore solitario e della tv “artigianale” è chiusa. Al suo posto ci sono gruppi editoriali strutturati che hanno superato la selezione basata sui criteri aziendali del MISE.
I poli dominanti: chi comanda davvero nella nuova mappa
Gruppo Medianordest: è l’attore più rilevante nel Veneto contemporaneo. Fa capo alla famiglia Jannacopulos e controlla emittenti che occupano posizioni LCN centrali nella graduatoria regionale (area tecnica AT05). Il cuore operativo è Teleradio Diffusione Bassano S.r.l., che guida un network con forte presenza e identità regionale:
- Antenna Tre Veneto (LCN 10)
- Rete Veneta (LCN 14)
- TNE Telenordest (LCN 18)
Il gruppo estende inoltre la propria influenza fuori regione: acquisisce Telequattro (storica realtà di Trieste e del Friuli Venezia Giulia) e nel 2024 entra con una quota strategica del 21,71% in Mediàpason, società editrice di riferimento in Lombardia e Piemonte.
Gruppo Athesis: Secondo polo, con radici veronesi e una lunga tradizione di integrazione stampa-tv. Controlla:
- TeleArena (LCN 16)
- TeleMantova (LCN 77)
Oltre al comparto televisivo, mantiene una struttura forte anche con radio e quotidiani.
Gli altri attori rilevanti nella fascia “nobile” (10–19): la zona più visibile del telecomando, quella che conta di più per riconoscibilità e accesso immediato, include anche altri marchi che superano la selezione e restano centrali:
- Telenuovo (LCN 11)
- Canale Italia (LCN 12)
- TVA Vicenza (LCN 13)
- TelePadova – 7 Gold (LCN 15)
- Telechiara (LCN 17)
- TV7 Triveneta (LCN 19)
Le emittenti a forte connotazione provinciale, come Telebellunodolomiti (LCN 75) e Televenezia (LCN 80), vengono invece posizionate in fasce più alte, quindi meno immediate per il pubblico generalista.
Il nuovo assetto delle TV locali venete post-Switch Off (LCN 2024-2025)
(Principali emittenti regionali – Area Tecnica AT05)
| LCN | Marchio Emittente | Editore/Gruppo | Copertura |
| 10 | ANTENNA TRE VENETO | Teleradio Diffusione Bassano Srl (Medianordest) | Regionale |
| 11 | TELENUOVO RETENORD | Editrice T.N.V. Spa | Regionale |
| 12 | CANALE ITALIA | Canale Italia Srl | Regionale |
| 13 | TVA VICENZA | Videomedia Srl | Regionale |
| 14 | RETE VENETA | Teleradio Diffusione Bassano Srl (Medianordest) | Regionale |
| 15 | TELEPADOVA – 7 GOLD | Telepadova Spa | Regionale |
| 16 | TELEARENA | Telearena Spa (Gruppo Athesis) | Regionale |
| 17 | TELECHIARA | Videomedia Srl | Regionale |
| 18 | TNE TELENORDEST | Teleradio Diffusione Bassano Srl (Medianordest) | Regionale |
| 19 | TV7 TRIVENETA NETWORK | Triveneta Srl | Regionale |
| 75 | TELEBELLUNODOLOMITI | Telebelluno Srl | Regionale |
| 80 | TELEVENEZIA | Televenezia Srl | Regionale |
| Fonte: Elaborazione su dati MIMIT, LCN AT05 34 |
Fare squadra per restare vivi: il consorzio Reti Nord Est e la strategia “di rete”
Nel nuovo scenario, fatto di costi tecnici più alti e risorse sempre più limitate, le tv locali si sono mosse lungo due strade principali. La prima è quella del consolidamento “duro”: fusioni e acquisizioni, come nel caso del percorso seguito da Medianordest. La seconda, invece, è la cooperazione: un modello meno aggressivo, ma pensato per sopravvivere condividendo peso, idee e infrastrutture.
Dentro questo secondo schema si inserisce il Consorzio Reti Nord Est (CRNE), una vera alleanza tra emittenti del Triveneto nata con l’obiettivo di “fare squadra”. L’idea di base è semplice: se da soli si fa fatica a reggere la competizione e i costi di diffusione, insieme si può razionalizzare ciò che pesa di più e mantenere una presenza solida sul territorio.
Gli obiettivi principali del consorzio sono due:
- tecnici, perché punta a ottimizzare le reti di trasmissione e a tagliare le spese legate alla diffusione del segnale;
- editoriali, perché la collaborazione non riguarda solo le infrastrutture, ma anche i contenuti.
Il progetto simbolo di questa logica è il Tg Veneto, un telegiornale regionale costruito grazie alla collaborazione di sei televisioni locali. Non è solo un prodotto informativo: viene presentato anche come strumento per rafforzare un’idea di identità regionale “unitaria”, capace di andare oltre i singoli campanili provinciali senza rinunciare alla prossimità.
Dopo il digitale terrestre: HbbTV, streaming e “radiovisione”
Il futuro, per quasi tutte le emittenti – sia quelle rimaste sul DTT sia quelle rimaste fuori – ha preso una direzione chiara: l’ibrido. La tv locale non vive più solo di antenna e telecomando: deve essere presente dove si sposta lo spettatore, cioè tra web, app, smart tv e fruizione “connessa”.
Le emittenti escluse dal digitale terrestre, come Radio Adige Tv, sono state praticamente costrette a un cambio di pelle immediato: puntano tutto su streaming, piattaforme online e applicazioni, cercando di recuperare pubblico e visibilità fuori dalla numerazione tradizionale dei canali.
Quelle rimaste “dentro” al DTT, invece, stanno provando a trasformare un mezzo classico in qualcosa di più moderno. Qui entra in gioco l’HbbTV (Hybrid Broadcast Broadband TV): una tecnologia che prova a unire due mondi che prima erano separati. Da una parte la trasmissione lineare via etere, dall’altra contenuti interattivi e on demand via Internet, richiamabili direttamente dalla tv connessa, spesso con un tasto o un banner sullo schermo.
Tradotto in modo semplice: il canale resta, ma può diventare una porta d’ingresso a un ecosistema più ampio, fatto di extra, replay, clip, sezioni tematiche e contenuti “a richiesta”. In parallelo cresce anche la logica della radiovisione, cioè la fusione tra brand radiofonici e contenuto video, particolarmente utile per intercettare pubblico giovane e tenere viva la presenza quotidiana.
Che cosa ci lascia l’etere veneto, e dove sta andando
La storia delle televisioni locali venete è quasi un riassunto perfetto di come sono cambiati i media in Italia negli ultimi cinquant’anni. Parte da un’epoca di energia anarchica e pionieristica, negli anni ’70, quando l’impulso era “pirata” e nasceva contro il monopolio dello Stato. Poi attraversa gli anni ’80, il periodo più brillante, in cui queste emittenti diventano centrali: informano, costruiscono abitudini, creano appartenenze. Lo fanno anche attraverso lo sport, che in Veneto diventa linguaggio identitario, e finiscono per funzionare – spesso senza dichiararlo – come amplificatori di un clima localista che proprio in quegli anni trova voce e spazio.
Quella stagione, però, non poteva restare intatta. La regolamentazione porta un primo “ordine” (con la Mammì), poi arrivano le transizioni tecnologiche (con la Gasparri e la fase del primo digitale) che aprono possibilità ma aumentano anche fragilità economiche. Il colpo definitivo, quello che cambia davvero le regole del gioco, è il refarming del 2022: un evento legato alla liberazione di banda per il 5G e gestito tramite criteri burocratici che privilegiano struttura aziendale e solidità amministrativa più della storia, del radicamento e della rilevanza culturale.
Il risultato oggi è un sistema molto più concentrato: l’etere veneto è nelle mani di pochi gruppi solidi – come Medianordest e Athesis – che hanno superato una selezione durissima. E qui nasce il paradosso: l’identità locale, che era il motore originario di queste tv, rischia di essere indebolita proprio dal consolidamento, perché la standardizzazione rende più facile produrre, ma può rendere più difficile restare “di territorio” fino in fondo.
Il localismo, però, non è sparito: si è spostato. Non vive più solo nelle posizioni LCN, oggi più preziose e più blindate, ma nelle piattaforme web, nelle app, nello streaming e nelle tecnologie ibride come l’HbbTV. La sfida vera, per le televisioni venete, non è più conquistare frequenze e copertura: è mantenere la prossimità, la riconoscibilità e la funzione di servizio in un mondo dove l’audience è frammentata, globale e distratta.
In altre parole: il futuro non chiede alle tv venete di “esistere”, ma di restare necessarie.





