Il Diavolo veste Prada, il cult che non smette di tornare: l’analisi oltre la copertina
il diavolo veste prada

A 19 anni dall’uscita al cinema, il film con Meryl Streep e Anne Hathaway continua a conquistare il pubblico televisivo: l’ennesimo passaggio in prima serata su Canale 5 e un fascino intramontabile.

C’è un film che, più di altri, ha saputo trasformarsi in un vero e proprio rituale televisivo. Il diavolo veste Prada, la commedia cult del 2006 con Meryl Streep e Anne Hathaway, torna questa sera in prima serata su Canale 5, per l’ennesima volta. Eppure, nonostante le infinite repliche, continua a catalizzare l’attenzione del pubblico come fosse la prima. Una storia di ambizione, sacrificio e trasformazione che ha saputo conquistare diverse generazioni, diventando non solo un successo cinematografico ma anche uno dei titoli più replicati e riconoscibili della tv generalista italiana. Perché certe pellicole, semplicemente, non invecchiano mai.

Non solo, complice la recente scomparsa di Giorgio Armani, la pellicola assume oggi un valore ulteriore: il racconto di un mondo in cui la moda è potere, seduzione e sacrificio. Un film che diventa così specchio di un’epoca, e che nel continuo riproporsi in tv dimostra come certe storie non smettano mai di dialogare con il presente.

Tutti sognano di essere noi“: la trama e i suoi protagonisti

Diretto da David Frankel, si apre con l’arrivo a New York di Andrea “Andy” Sachs, una giovane e brillante neolaureata con ambizioni nel campo del giornalismo serio. Intellettualmente preparata ma del tutto ignara dei codici estetici del mondo in cui sta per entrare, Andy vede un impiego presso il prestigioso Elias-Clark Group come un trampolino di lancio strategico per la sua carriera.

Il suo percorso inizia con un colloquio per una posizione che “un milione di ragazze ucciderebbero per avere“: seconda assistente personale della temibile e venerata Miranda Priestly, la direttrice della rivista di moda globale Runway. Nonostante la palese mancanza di interesse e conoscenza di Andy per la moda, Miranda la assume, forse per una scommessa o incuriosita da un curriculum impeccabile.

La vita lavorativa di Andy si trasforma rapidamente in un incubo ad alta velocità, scandito da richieste incessanti e spesso umilianti, sotto l’autorità glaciale di Miranda e la supervisione stressata della prima assistente, Emily Charlton. La narrazione è costellata di compiti apparentemente impossibili, come il recupero del manoscritto non ancora pubblicato del nuovo libro di Harry Potter per le figlie gemelle di Miranda, una prova che mette a dura prova la tenacia di Andy.

Inizialmente derisa per il suo aspetto e in perenne difficoltà, Andy riceve un aiuto fondamentale dal direttore artistico di Runway, Nigel. Le apre le porte del leggendario guardaroba della rivista, orchestrando una trasformazione estetica radicale.

Questo cambiamento esteriore segna l’inizio di una metamorfosi interiore. Andy diventa più competente, sicura di sé e capace di anticipare le esigenze di Miranda, guadagnandosi un barlume di approvazione. Tuttavia, questo successo professionale ha un costo altissimo sul piano personale: le sue relazioni con il fidanzato Nate, un giovane chef, e con i suoi amici si logorano a causa della sua totale dedizione al lavoro.

Il culmine della sua ascesa e del suo dilemma morale avviene durante la settimana della Moda di Parigi. Dopo aver preso il posto di un’Emily febbricitante, Andy assiste in prima persona alla spietata abilità di Miranda nel mondo degli affari, quando la direttrice sacrifica la promozione tanto agognata da Nigel per salvare la propria posizione.

In un raro momento di vulnerabilità, Miranda confida ad Andy il dolore per il suo imminente divorzio, ma poco dopo, in auto, la riporta alla dura realtà della loro condizione, pronunciando la frase iconica: “Tutti vogliono questa vita. Tutti vogliono essere noi“.

È in quel momento che Andy comprende di stare diventando una persona che non rispetta. Con un gesto tanto improvviso quanto risolutivo, abbandona Miranda per le strade di Parigi, gettando simbolicamente il suo telefono di servizio in una fontana di Place de la Concorde.

L’epilogo mostra un’Andy che ha ritrovato il suo stile più autentico e ha ottenuto un lavoro in un giornale. Incrociando lo sguardo di Miranda che sale in auto, riceve un’apparente indifferenza, seguita però da un impercettibile sorriso che la direttrice si concede una volta sola, un tacito segno di rispetto per la ragazza che ha saputo scegliere per se stessa.

il diavolo veste prada

Il Diavolo Veste Prada: Cast Principale e Doppiatori Italiani

Personaggio Attore/Attrice Doppiatore/Doppiatrice Italiano/a
Miranda Priestly Meryl Streep Maria Pia Di Meo
Andrea “Andy” Sachs Anne Hathaway Connie Bismuto
Emily Charlton Emily Blunt Francesca Manicone
Nigel Kipling Stanley Tucci Gabriele Lavia
Nate Cooper Adrian Grenier Francesco Venditti
Christian Thompson Simon Baker Simone D’Andrea
Lily Tracie Thoms Alessandra Cassioli

L’architettura di un’icona: i personaggi principali

Oltre la superficie patinata della trama, il film offre una profonda esplorazione psicologica dei suoi personaggi, le loro evoluzioni riflettono temi universali come l’ambizione, la perdita dell’identità e la natura del potere nel contesto lavorativo contemporaneo.

La metamorfosi di Andrea Sachs

Il percorso di Andy Sachs è una classica narrazione di formazione accelerata dalla pressione di un ambiente estremo. All’inizio, viene definita una Lost girl, una figura il cui aspetto esteriore non riflette il suo potenziale interiore. Il suo abbigliamento iniziale, descritto come “trascurato” e “disordinato“, non è solo una scelta di stile, ma un simbolo della sua estraneità e del suo iniziale disprezzo per il mondo di Runway. La sua trasformazione, quindi, non è un mero cambio di guardaroba, ma un’acquisizione di un nuovo linguaggio, un modo per parlare la stessa lingua di un ambiente che deve imparare a navigare per sopravvivere e, infine, conquistare.

Il suo viaggio assume i contorni di un patto faustiano, in cui il successo professionale viene barattato con l’integrità personale e la felicità affettiva. Man mano che Andy diventa più abile e spietata nel suo lavoro, assorbe inevitabilmente i tratti del mondo che la circonda, allontanando le persone che rappresentavano la sua vecchia vita. Il film utilizza la sua parabola per indagare come il lavoro possa ridefinire pericolosamente l’identità di un individuo, confondendo i confini tra un sano coinvolgimento e una dipendenza ossessiva che porta all’annullamento di sé.

In questo contesto, la figura del suo fidanzato, Nate, ha subito una significativa rivalutazione nel tempo. Se nel 2006 era stato concepito come l’ancora morale di Andy, la voce della ragione che la richiamava ai suoi valori originali, una rilettura più moderna, specialmente da parte delle generazioni più giovani, lo ha etichettato come un partner “tossico” e non solidale. Le sue lamentele per l’assenza di Andy al suo compleanno, inizialmente presentate come legittime, sono oggi viste da molti come l’espressione di un egoismo che non supporta l’ambizione professionale della partner.

Questa inversione di prospettiva riflette un cambiamento culturale più ampio riguardo ai ruoli di genere, all’equilibrio tra vita e lavoro e alle aspettative all’interno di una coppia. Il film è diventato, involontariamente, un test di Rorschach culturale su questi temi. La conferma che il personaggio di Nate non tornerà nel sequel è la convalida definitiva di questa rilettura: i narratori hanno riconosciuto che la sua figura, così come era stata scritta, non è più sostenibile per un pubblico contemporaneo, rendendo la sua assenza una scelta quasi obbligata per una storia che guarda al futuro.

Miranda Priestly: Anatomia del Potere

Miranda Priestly è entrata nell’immaginario collettivo come l’archetipo del “capo infernale. Tuttavia, la sua figura, grazie alla magistrale interpretazione di Meryl Streep, trascende la caricatura del semplice antagonista. È una leader brillante e terrificante, una perfezionista che opera in un’industria che non ammette errori. Il suo approccio, riassumibile nel mantra “porta risultati, non scuse“, è una filosofia manageriale brutale ma indiscutibilmente efficace in quel contesto.

La complessità del personaggio emerge in una scena cruciale, fortemente voluta dalla stessa Streep: il momento in cui Miranda, senza trucco e visibilmente vulnerabile, parla ad Andy del suo divorzio e della preoccupazione per le figlie. Questo squarcio nella sua corazza di ghiaccio rivela il costo umano del suo potere, trasformandola da mostro a figura quasi tragica, una regina consapevole della solitudine del suo trono.

La costruzione del personaggio da parte di Meryl Streep offre una chiave di lettura ancora più profonda. L’attrice ha dichiarato di non essersi ispirata direttamente ad Anna Wintour, ma piuttosto all’autorità silenziosa e assoluta di uomini potenti come Clint Eastwood e Mike Nichols. Questa scelta suggerisce che, per raggiungere e mantenere quel livello di potere, una donna negli anni 2000 doveva adottare comportamenti culturalmente codificati come maschili: distacco emotivo, intimidazione a bassa voce e un pragmatismo spietato.

Inoltre, la celebre battuta “Tutti vogliono essere noi” fu un’improvvisazione della Streep, che modificò l’originale del copione “Tutti vogliono essere me“. Questo cambiamento non è solo una vanteria, ma un gesto di inclusione verso Andy, un riconoscimento che anche lei è entrata in quel mondo rarefatto e brutale. È un momento di perverso mentorato, che sancisce un passaggio di testimone. Miranda, quindi, non è semplicemente un “cattivo capo“, ma una complessa rappresentazione del prezzo dell’ambizione femminile in un sistema che, per lungo tempo, ha applicato doppi standard alle donne in posizioni di comando.

Dalle pagine di Vogue allo schermo: la vera storia dietro il film

Le radici de Il diavolo veste Prada affondano in un’esperienza reale, quella dell’autrice Lauren Weisberger, che per circa dieci mesi lavorò come assistente dell’iconica direttrice di Vogue America, Anna Wintour. Il suo romanzo d’esordio del 2003, un bestseller internazionale, è un roman à clef, un racconto semi-romanzato di quel periodo, che mette a nudo con toni critici e umoristici le dinamiche di potere, le richieste estenuanti e le assurdità dell’élite di Manhattan. La stessa Weisberger appare in un breve cameo nel film, nel ruolo della tata che legge alle gemelle di Miranda.

La reazione di Anna Wintour al libro e al successivo film fu un capolavoro di studiata indifferenza e controllo dell’immagine. Secondo quanto riferito, alla notizia della pubblicazione del libro, commentò con un collega: “Non riesco a ricordare chi sia quella ragazza“. Pubblicamente, definì il romanzo “un’ottima opera di finzione” e la sua mossa più brillante fu quella di presentarsi a una proiezione speciale del film indossando un abito di Prada dalla testa ai piedi. Con questo gesto, dimostrò di essere “al gioco“, cooptando la narrazione a proprio favore e neutralizzando di fatto la critica.

L’adattamento cinematografico, guidato dal regista David Frankel, operò un significativo cambiamento di tono rispetto al libro. Mentre il romanzo è più introspettivo e aspramente critico, il film sceglie di enfatizzare il fascino ed eleganza del mondo della moda, trasformando la storia in una parabola più universale sull’ambizione. Frankel dichiarò esplicitamente di non voler realizzare una “demolizione di Anna Wintour“, ma piuttosto una “lettera d’amore alle donne che lavorano e fanno un lavoro eccellente“. Questa scelta fu cruciale per il successo di massa del film. Anche alcuni personaggi subirono modifiche sostanziali: nel libro, ad esempio, Emily è più amichevole, mentre il personaggio di Nigel nel film è una fusione di due diverse figure del romanzo.

Questo processo di adattamento ha avuto un effetto inaspettato sull’immagine pubblica di Anna Wintour. Se il libro rappresentava una minaccia per la sua reputazione, il film finì per diventare il suo più potente strumento di pubbliche relazioni. La decisione di allontanarsi dalla critica diretta, unita alla performance umanizzante di Meryl Streep e alla messa in scena sfarzosa, trasformò una potenziale antagonista in un’affascinante anti-eroina. La Wintour, da figura temuta all’interno del settore, divenne un’icona di celebrità mainstream, la cui leggenda fu involontariamente cementata proprio dal film che avrebbe dovuto incrinarla.

Dietro le quinte di Runway: la produzione di un cult

La creazione de Il Diavolo Veste Prada è una storia ricca di aneddoti, scelte audaci e fortunate coincidenze che hanno contribuito a trasformarlo in un classico del cinema contemporaneo.

Casting e personaggi: la creazione di un ensemble Iconico

Il processo di casting fu tutt’altro che lineare. Per il ruolo della protagonista, Andy Sachs, la prima scelta della produzione era Rachel McAdams, che però rifiutò la parte per ben tre volte, preferendo dedicarsi a progetti meno commerciali. Anne Hathaway, pur essendo estremamente motivata, era considerata solo la nona scelta e dovette lottare con pazienza per ottenere il ruolo. Tra le altre attrici prese in considerazione figuravano nomi come Scarlett Johansson, Natalie Portman e Kate Hudson.

Anche per il ruolo di Miranda Priestly, la scelta non fu immediata. Inizialmente si pensò a Glenn Close, che però declinò l’offerta, stanca di interpretare personaggi “cattivi“. Meryl Streep, intuendo il potenziale del film, accettò la parte solo dopo che la produzione acconsentì a raddoppiare la sua offerta economica iniziale. Il resto del cast si formò in modo quasi fortuito: Emily Blunt fu scelta per il ruolo di Emily prima ancora che si trovasse l’interprete per Andy, mentre Stanley Tucci si unì al progetto nei panni di Nigel appena tre giorni prima dell’inizio delle riprese. Fu proprio sul set che Tucci conobbe la sorella di Emily, Felicity Blunt, che sarebbe poi diventata sua moglie.

Il successo del film risiede in gran parte in quello che si potrebbe definire un “casting controintuitivo“. La perseveranza di Hathaway, la cui immagine da “ragazza della porta accanto” rispecchiava perfettamente il percorso di Andy, si rivelò più efficace della celebrità consolidata di McAdams. La scelta di Meryl Streep, nota per i suoi ruoli drammatici, in una parte così ferocemente comica, fu un colpo di genio. Allo stesso modo, l’interpretazione di Emily Blunt, che diede al personaggio un accento britannico non previsto dal copione (che la voleva americana), aggiunse uno strato di snobismo comico che la rese indimenticabile. Questi scostamenti dal piano originale dimostrano come la chimica iconica del film sia nata da una serie di felici imprevisti, che hanno prodotto un risultato finale superiore alla visione iniziale.

È ceruleo“: la visione stilistica di Patricia Field

Il mondo de Il Diavolo veste Prada non sarebbe stato così vivido e credibile senza il lavoro della leggendaria costumista Patricia Field. Con un budget di oltre 1 milione di dollari, uno dei più alti nella storia del cinema per i costumi, Field ha creato un universo visivo che è diventato esso stesso protagonista.

La collaborazione con Meryl Streep fu fondamentale per definire l’estetica di Miranda. Fu proprio l’attrice a proporre i caratteristici capelli bianchi, un’idea che Field accolse con entusiasmo, riconoscendola come una “palette perfetta” e “dinamica” su cui costruire qualsiasi look. Nonostante l’iniziale resistenza dei produttori, che temevano un’immagine “da vecchia signora”, l’insistenza di Streep ebbe la meglio. Per il guardaroba, Field attinse ampiamente dagli archivi di stilisti come Donna Karan e Bill Blass, con l’obiettivo di creare uno stile unico e senza tempo, che elevasse Miranda al di sopra delle tendenze passeggere.

Per la trasformazione di Andy, Field la immaginò come una “Chanel girl“. Grazie a un accordo con la maison francese, desiderosa di associare il proprio marchio a un’immagine più giovane, la costumista ebbe accesso a capi iconici che scandirono l’evoluzione del personaggio. L’arco narrativo di Andy è letteralmente scritto nei suoi abiti: dai maglioni informi degli inizi, agli stivali Chanel, fino agli eleganti abiti da sera che segnano la sua piena assimilazione in quel mondo.

In questo film, i costumi trascendono la loro funzione accessoria per diventare un vero e proprio linguaggio narrativo. Come affermato dalla stessa Field, il suo lavoro non era “vendere vestiti“, ma “raccontare una storia“. Ogni scelta è ponderata: Andy è Chanel (classica ed elegante), non Versace (più audace e sensuale). Il guardaroba di Miranda è la sua armatura, un’estensione del suo potere. Il celebre monologo sul colore “ceruleo” non è solo una lezione di stile, ma una dichiarazione programmatica sull’influenza pervasiva della moda nella vita di tutti i giorni. I costumi, quindi, non si limitano a vestire i personaggi: sono la sostanza stessa del mondo che il film rappresenta, rendendo il contributo di Patricia Field tanto cruciale quanto quello della sceneggiatura e della regia.

Da Manhattan a Parigi: le location iconiche

Il film utilizza sapientemente le location reali di New York e Parigi per conferire autenticità e fascino alla storia.

  • New York, il regno di Runway: La sede fittizia della rivista Runway è l’imponente McGraw-Hill Building al 1221 della Sixth Avenue. L’appartamento di Andy si trova al 252 di Broome Street, nel Lower East Side, mentre la lussuosa residenza di Miranda è una townhouse al 129 East 73rd Street, nell’Upper East Side. Altre location chiave includono il St. Regis Hotel (2 East 55th Street), dove si svolgono diverse scene importanti, e l’American Museum of Natural History, che ospita il grande gala di beneficenza.
  • Parigi, la capitale della moda: L’atto finale del film si sposta nella capitale francese, utilizzando alcuni dei suoi luoghi più iconici come sfondo. La scena cruciale in cui Andy abbandona il suo lavoro è ambientata nella maestosa Place de la Concorde. Altre location riconoscibili includono il romantico Pont des Arts e il Musée Galliera, il museo della moda di Parigi.

Un aneddoto interessante riguarda le riprese parigine: per contenere i costi, le scene di Meryl Streep ambientate a Parigi furono in realtà girate negli Stati Uniti. Ad esempio, la sequenza in cui Miranda scende dalla sua limousine in quella che dovrebbe essere Parigi è stata filmata sulla 77ª Strada a New York.

Eredità e impatto culturale: perché parliamo ancora del Diavolo

A quasi due decenni dalla sua uscita, Il diavolo veste Prada non è solo un film di successo, ma un vero e proprio fenomeno culturale la cui influenza continua a riverberare nella moda, nel cinema e nelle conversazioni sul mondo del lavoro.

Il film fu un trionfo commerciale, incassando oltre 326 milioni di dollari a livello globale a fronte di un budget di produzione di soli 35 milioni. Questo successo di pubblico fu accompagnato da un ampio consenso della critica, che lodò in particolare le interpretazioni del cast e la cura per i dettagli visivi. La pioggia di riconoscimenti che seguì ne consolidò lo status di classico moderno. L’interpretazione di Meryl Streep fu universalmente acclamata, valendole una candidatura all’Oscar e la vittoria di un Golden Globe come Miglior Attrice. Anche i costumi di Patricia Field ottennero una meritata nomination agli Oscar.

Riconoscimenti Principali: Premi e Nomination

Premio/Festival Anno Categoria Risultato
Premio Oscar 2007 Miglior Attrice Protagonista (Meryl Streep) Nomination
Premio Oscar 2007 Migliori Costumi (Patricia Field) Nomination
Golden Globe 2007 Miglior Attrice – Commedia/Musicale (Meryl Streep) Vinto
Golden Globe 2007 Miglior Film – Commedia/Musicale Nomination
Golden Globe 2007 Miglior Attrice Non Protagonista (Emily Blunt) Nomination
Premio BAFTA 2007 Miglior Attrice Protagonista (Meryl Streep) Nomination
Premio BAFTA 2007 Miglior Attrice Non Protagonista (Emily Blunt) Nomination
Premio BAFTA 2007 Migliori Costumi (Patricia Field) Nomination

L’impatto a lungo termine del film va ben oltre i premi. È diventato una “vera e propria icona culturale“, le cui battute sono entrate nel linguaggio comune e i cui meme continuano a prosperare nell’era digitale. Per una intera generazione, ha offerto il primo sguardo, seppur romanzato, dietro le quinte dell’industria della moda, plasmandone la percezione pubblica. Ancora oggi, il film funge da punto di riferimento per discutere di dinamiche lavorative complesse, come il “workaholism” (dipendenza da lavoro), i capi tossici e il difficile equilibrio tra carriera e vita privata.

La chiave della sua longevità risiede nella sua duplice natura: è al tempo stesso una favola aspirazionale e un racconto ammonitore. Da un lato, incarna la classica parabola della “working girl“, con una trasformazione magica che apre le porte a un mondo di lusso e glamour. La fotografia, la colonna sonora e soprattutto i costumi creano una fantasia intensamente desiderabile. Dall’altro lato, il film mette in scena, in modo stilizzato ma efficace, una cultura del lavoro profondamente tossica, dove il comportamento di Miranda rasenta l’abuso psicologico.

Questa ambivalenza permette al pubblico di relazionarsi con la storia su più livelli: si può sognare il fascino di quel mondo e, contemporaneamente, empatizzare con la lotta di Andy contro un lavoro disumanizzante. Questa complessità, che valida il richiamo dell’ambizione pur mettendone in guardia dai costi, assicura al film una rilevanza che non accenna a diminuire.

Quindici passaggi e non sentirli: il culto tv

La storia televisiva de Il diavolo veste Prada in Italia parte da lontano. La prima volta che il film è stato trasmesso in chiaro risale al 22 gennaio 2009, quando andò in onda su Canale 5 ottenendo un risultato clamoroso: quasi otto milioni di telespettatori e uno share vicino al 30%. Da lì è diventato un vero e proprio cult delle repliche, tanto che Mediaset è rimasta l’unica a proporlo in chiaro.

Nel corso degli anni le messe in onda si sono susseguite con regolarità, alcune anche a distanza di pochi mesi, tanto da rendere il titolo un appuntamento ricorrente per il pubblico. Due annate in particolare, il 2009 e il 2023, hanno visto addirittura due passaggi nello stesso anno, a conferma della forza del film come garanzia di ascolti.

Fino ad oggi i passaggi sono stati 14, l’ultimo il 9 settembre 2024. Con la nuova messa in onda di stasera, 8 settembre 2025, si arriva ufficialmente al quindicesimo appuntamento su Canale 5. Un traguardo che racconta bene come Il diavolo veste Prada sia ormai entrato a pieno titolo tra i film cult più replicati della televisione italiana. Per rendervi ancora meglio l’idea, ecco la lista completa dei passaggi, dal primo all’ultimo:

  • 22 gennaio 2009 — prima visione
  • 16 settembre 2009
  • 21 settembre 2010
  • 30 novembre 2011
  • 15 aprile 2013
  • 18 giugno 2016
  • 17 aprile 2017
  • 28 marzo 2018
  • 26 marzo 2019
  • 18 maggio 2020
  • 11 febbraio 2022
  • 18 maggio 2023
  • 8 novembre 2023
  • 9 settembre 2024
  • 8 settembre 2025

Il ritorno del diavolo: tutto sul sequel ufficiale

Dopo anni di voci e speculazioni, il ritorno di Miranda Priestly è ufficiale. Il Diavolo Veste Prada 2 è attualmente in produzione, con una data di uscita fissata per il 1° maggio 2026 negli Stati Uniti. Il team creativo originale, che include il regista David Frankel e la sceneggiatrice Aline Brosh McKenna, è stato confermato, garantendo una continuità stilistica e narrativa con il primo capitolo.

La trama del sequel si baserà su una sceneggiatura originale, e non sull’adattamento del secondo libro di Weisberger, La vendetta veste Prada. La storia sarà incentrata su una Miranda Priestly che deve affrontare la crisi dell’editoria tradizionale e la lotta della sua rivista Runway per rimanere rilevante in un panorama mediatico dominato da influencer e contenuti digitali. Il conflitto principale vedrà Miranda scontrarsi con la sua ex assistente, Emily Charlton, ora diventata una potente dirigente di un gruppo del lusso i cui budget pubblicitari sono diventati vitali per la sopravvivenza di Runway. Si preannuncia una “guerra tra regine” in un mondo della moda radicalmente cambiato.

Il sequel promette di essere uno specchio dei nuovi paradigmi di potere nel mondo dei media e della moda. Se il primo film era ambientato all’apice del potere della stampa, dove una rivista come Runway dettava legge in modo incontrastato, questa nuova storia affronterà la decentralizzazione del potere nell’era digitale. La contrapposizione tra Miranda, simbolo dell’autorità editoriale della vecchia guardia, ed Emily, che rappresenta il nuovo potere economico dei grandi conglomerati del lusso, riflette accuratamente le tensioni reali del settore.

Questa scelta narrativa assicura che il film non sia una semplice operazione nostalgica, ma un commento tempestivo sullo stato attuale dell’industria, ponendo una domanda affascinante: il Diavolo saprà adattarsi o sarà destinato a diventare obsoleto? La coincidenza temporale con il recente annuncio del ritiro di Anna Wintour da Vogue dopo 37 anni rende questa esplorazione ancora più pertinente e attesa.

Il diavolo veste Prada 2: cast confermato

Cast di Ritorno Nuove Aggiunte al Cast
Meryl Streep (Miranda Priestly) Lucy Liu (ruolo non rivelato)
Anne Hathaway (Andy Sachs) Simone Ashley (ruolo non rivelato)
Emily Blunt (Emily Charlton) Justin Theroux (ruolo non rivelato)
Stanley Tucci (Nigel Kipling) B.J. Novak (ruolo non rivelato)
Tracie Thoms (Lily) Pauline Chalamet (ruolo non rivelato)
Tibor Feldman (Irv Ravitz) Kenneth Branagh (marito di Miranda)
Patrick Brammall (nuovo interesse amoroso di Andy)
Helen J. Shen (star di Broadway)
Caleb Hearon (comico)
Conrad Ricamora (ruolo non rivelato)
Ultime notizie su TV