La tv che ci ha provato: cosa è stato “Diario – Esperimento d’amore”
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Nel 2003 Marco Liorni era uno dei volti di punta di Italia 1. A lui venne affidato un dating importato dal Giappone, Diario – Esperimento d’amore: di cosa si trattava? Scopriamolo!

Da quando Uomini e Donne è diventato – circa 25 anni fa – un programma che prova a far nascere storie d’amore (spesso riuscendoci e con successo), il pubblico non ha mai staccato gli occhi dalle dinamiche create in quello studio, diventato un laboratorio di cuori rotti e disperati o incerottati e vivi più che mai. Nella storia della televisione ci sono stati tanti precursori che nel dating show ci hanno sguazzato, pensiamo ad uno dei primi programmi che hanno puntato fortemente sulle “ship” create: Il gioco delle coppie.

Il meccanismo era semplice ma geniale: una persona single – uomo o donna – sedeva di fronte a tre potenziali partner nascosti dietro una parete. Non poteva vederli, e loro non potevano vedere lui/lei. Il contatto avveniva solo attraverso le domande: divertenti, imbarazzanti, romantiche o ironiche. Il pubblico amava quel gioco di immaginazione, perché tutto si basava sulla voce, sulle risposte, sulla personalità.

Dopo una serie di botta e risposta, la persona single sceglieva il partner che l’aveva più colpita. Solo a quel punto il muro si apriva e avveniva la rivelazione, tra applausi e sospiri. La coppia “formata” riceveva un viaggio premio per conoscersi davvero, e nella puntata successiva un breve filmato mostrava com’era andata l’esperienza.

Era una formula leggera, ma non banale: giocava con l’immaginazione, con i pregiudizi, con l’idea che l’amore potesse nascere da una scintilla verbale, prima ancora che visiva.

Cosa è stato Diario – Esperimento d’amore

C’è però un format che vogliamo ripescare dalla stanza dei dimenticati, un modo per evidenziare quanto la tv abbia provato a sondare anche le corsie preferenziali, in particolare di questo genere: creare coppie, ma farlo con un’idea originale, diversa.

Siamo nel 2003, Mediaset ha voglia di sperimentare e per farlo abbraccia Italia 1, una rete dal target giovane, già bella che navigata sui gusti forti. Con una fucina di format nuovi, audaci, spesso un po’ folli, ma capaci di raccontare un’idea precisa: il pubblico giovane meritava linguaggi fuori dai denti, non derivativi, non timidini. 22 anni fa, dentro questo laboratorio creativo, nasceva Diario – Esperimento d’amore, un reality atipico condotto da Marco Liorni, che oggi suona quasi come un reperto prezioso di un’epoca in cui Mediaset provava davvero a innovare.

Il programma arrivava dopo il boom dei primi reality e portava con sé un’idea semplice ma potente: trasformare la ricerca dell’amore in un gioco di identità sospese. Era il riadattamento italiano di un format giapponese, Future Diary, già passato per gli Stati Uniti, ma ripensato completamente per il nostro pubblico. Liorni – allora uno dei volti più duttili della TV giovane Mediaset, reduce da Grande Fratello, Il Protagonista e le finali di Miss Universo – lo presentava come un esperimento “romantico” più che voyeuristico.

Il meccanismo

Aveva una curvatura narrativa molto precisa: due ragazzi alla ricerca dell’anima gemella venivano catapultati in una convivenza di una settimana, ma con una regola essenziale – non potevano dirsi nulla della loro vita. Solo il nome. Stop. Niente età, niente lavoro, niente passato. A guidarli, un diario rosso che indicava incontri, attività, luoghi in cui dormire. L’obiettivo? Far nascere una connessione “pura”, non condizionata dal curriculum di ciascuno.

Le location

Le location erano da cartolina – Favignana, i castelli del Piemonte e della Valle d’Aosta, la Tunisia, una nave da crociera – perché l’esperimento aveva bisogno di atmosfere sospese, quasi cinematografiche. E poi c’era lo studio, grande differenza rispetto al format originale: qui Liorni rivelava ai protagonisti le identità che avevano tenuto nascoste per sette giorni. Un momento sempre potenzialmente esplosivo: quella rivelazione poteva confermare l’intesa… oppure spaccarla in due.

Il finale

Era scritto a mano, letteralmente: ciascun partecipante completava il diario scegliendo se continuare o chiudere la conoscenza. Solo in caso di “finale positivo” reciproco i due si incontravano in studio. Altrimenti, uscivano separati. Una crudeltà dolce, tipica della TV dell’epoca: sentimentale sì, ma senza edulcorare la realtà.

Il tutto in un progetto di quattro puntate test, un piccolo rischio editoriale per capire se il format potesse rinascere in una stagione successiva.

La tv che non aveva paura di sbagliare

Se siamo qui a scrivere di un format dimenticato una ragione c’è: Diario fu esperimento, di missione e di fatto. Il programma durò solo una stagione, ma questa prova altro non fa che darci il quadro di una televisione ancora pronta alla prova di se stessa: tenta nel credere in un progetto, lo mette in piedi nella sua forma e lo lascia navigare per poi guardare ai numeri che però, purtroppo, non fecero esultare.

Ma c’è un altro aspetto che è bene evidenziare: riguardando Diario – Esperimento d’amore oggi, la sensazione è netta: Italia 1 era allora una rete in cui Mediaset credeva davvero come laboratorio sperimentale. Si testavano nuove narrazioni, si importavano format stranieri, si adattavano linguaggi, si rischiava il flop pur di cercare l’idea giusta. Nessuno si tirava indietro se un programma sembrava “strano”. Anzi, era un plus.

Diario – Esperimento d’amore forse non è stato un successo epocale, forse non ha cambiato la storia della TV. Ma è stato un simbolo. Il simbolo di un tempo in cui Italia 1 provava, sbagliava, riprovava, respirava innovazione. E, rivedendolo oggi, quel coraggio manca terribilmente.

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