

Il 31 dicembre e la televisione (non solo italiana).
Abbiamo bisogno di riti, anche – e forse soprattutto – in tempi complessi. Persino i grinch hanno bisogno di riti, anche se non lo ammettono, anche se il loro rito è prendere in giro i riti degli altri. A proposito di riti, il capodanno, con il suo dualismo fra la fine e l’inizio, i bilanci e i buoni propositi, è un momento delicato e codificato nell’esperienza umana collettiva. La televisione non poteva mancare, in questo rito: focolare elettronico, totem rassicurante, condivisione del presente: da cinquant’anni, più o meno, la liturgia televisiva di fine anno si è modificata tantissimo. Anche le televisioni locali – ho lavorato per anni a Telegenova e alcune volte ho partecipato alla surrealtà della registrazione della diretta di capodanno, con tanto di conto alla rovescia farlocco – si è fatto quel che si poteva per partecipare al rito. Finché i budget lo consentivano, perlomeno.
Il Capodanno come varietà da studio (perlopiù registrato)
Per decenni, il Capodanno televisivo italiano è stato sinonimo di “varietà”. Fino alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, la televisione pubblica e quella commerciale offrivano al pubblico un prodotto confezionato, spesso registrato o solo parzialmente in diretta, che fungeva da elegante tappezzeria sonora per i cenoni domestici. Erano gli anni dei conduttori storici: Pippo Baudo, Raffaella Carrà, Corrado, Mike Bongiorno, figure quasi mitologiche al punto da meritarsi statue a Sanremo una volta passati a miglior vita, o saggi di Umberto Eco (non proprio lusinghieri) come Fenomenologia di Mike Bongiorno: attraverso la porta del tubo catodico, entravano nelle case con la familiarità di un parente stretto.
In questa fase storica, il patto con lo spettatore era chiaro: la TV non pretendeva di essere il centro dell’attenzione, ma un accompagnamento garbato. Come ricorda una testimonianza d’epoca, “la TV la teniamo in sottofondo più che altro per non perdere il conto alla rovescia”.1 Non vi era l’ansia della piazza gremita a tutti i costi, né la frenesia del collegamento esterno. La scenografia era quella rassicurante del Teatro delle Vittorie (storico studio televisivo della RAI a Roma, in via Col di Lana 20, famoso per aver ospitato grandi show come Canzonissima e Fantastico, e tuttora set di programmi popolari come Affari tuoi) o degli studi milanesi, luoghi chiusi e controllati dove l’imprevisto era bandito. Il Capodanno era una questione privata, mediata da professionisti dello spettacolo che garantivano una transizione ordinata verso il nuovo anno.
Prima della Legge Mammì
Fino alla legge Mammì del 1990, le reti private non potevano trasmettere in diretta nazionale. Questo limite tecnico rappresentava un ostacolo per la notte di San Silvestro, un evento che per sua natura richiede la sincronicità del countdown. Mentre la Rai poteva vantare una tradizione consolidata di dirette, grandi orchestre e il collegamento istituzionale con il Presidente della Repubblica, Canale 5 si inventò un linguaggio proprio, basato sulla registrazione. Dopo i film di cassetta o gli speciali preconfezionati, fu Maurizio Costanzo a condurre due speciali (Buon Natale e Buon Anno, nel 1984 e nel 1987). Erano semplicemente degli spin-off del Maurizio Costanzo Show.
Da Buona Domenica a Buon Capodanno
Su Canale cinque, a metà degli anni ’90, Buona domenica si rivelò un contenitore capace di battere la storica Domenica In. Così nasce Buon Capodanno (nel1993 e poi dal 1996 fino al 2005). Il programma era guidato ancora da Maurizio Costanzo, spesso affiancato da figure che incarnavano l’anima nazional-popolare della rete come Fiorello (nel suo periodo d’oro del Karaoke e oltre), Paola Barale, Claudio Lippi e Luca Laurenti. La formula si basava su un meccanismo psicologico di “famigliarità indotta”. Il pubblico a casa non guardava uno spettacolo distante, coreografato al millimetro e istituzionale, ma partecipava virtualmente a una festa che sembrava svolgersi nel salone di amici un po’ eccentrici. Un vero e proprio caos organizzato, fatto in studio per abbattere i costi e con il cast di Buona Domenica (nella prima edizione del ’93 ci furono anche Tony Binarelli che faceva i giochi di prestigio e Cristina D’Avena, già idolo delle folle per le sigle dei cartoni animati). La “caciara”, spesso sguaiata ma condita da calore umano era la controprogrammazione naturale da contrapporsi all’intrattenimento Rai.
Il Capodanno del millennium bug
La notte del 31 dicembre 1999 cambia qualcosa. L’arrivo del 2000 non era un semplice Capodanno, ma un evento epocale carico di aspettative messianiche e paure tecnologiche. Lo spettro del Millennium Bug – il timore che i sistemi informatici globali collassassero a causa della formattazione della data a due cifre – trasformò la televisione in una sala di controllo globale. Però, ecco, non è successo niente di quello che si temeva. Chi l’avrebbe mai detto.
In ogni caso, la Rai organizzò una maratona senza precedenti intitolata Millennium, condotta tra gli altri da Carlo Conti, che collegava Roma con le capitali del mondo per seguire il fuso orario in tempo reale. La diretta era allo stesso tempo un vezzo artistico e una necessità informativa che sfociava nell’intrattenimento: tutti collegati per vedere se il mondo sarebbe finito o se le luci sarebbero rimaste accese. La trasmissione divenne un rito di vigilanza collettiva. Ma quando divenne chiaro che il mondo non sarebbe finito e non ci sarebbe stato nessun millennium bug, le immagini da Kiribati, Sydney, Mosca e infine New York crearono una sensazione di simultaneità planetaria mai sperimentata prima.
Quella notte, il pubblico italiano scoprì la potenza ansiogena ma anche esaltante della diretta globale. Nulla sarebbe più stato come prima: il vecchio varietà registrato appariva improvvisamente obsoleto, inadeguato a catturare il “qui e ora” della modernità.
Eravamo in pochissimi online, l’istantaneità – e la sua malattia mediatica connessa, l’istantismo – era ancora embrionale.
Il Capodanno istituzionale: L’anno che verrà
Nel 2003 la Rai istituzionalizza il nuovo formato con la prima edizione de L’Anno che Verrà. L’intuizione di Carlo Conti, ideatore e conduttore storico, e del suo gruppo di lavoro, fu quella di portare la televisione fuori dagli studi, immergendola fisicamente nella folla. La scelta della location inaugurale, Piazzale Federico Fellini a Rimini, non fu casuale: la riviera romagnola rappresentava l’archetipo del divertimento nazional-popolare, un luogo capace di accogliere migliaia di persone in un abbraccio collettivo. Online c’è ancora il comunicato ufficiale del comune di Rimini, che per otto anni di fila, fino al 2010, fu la capitale del Capodanno televisivo.
Per otto edizioni consecutive (2003-2010), Rimini è stata la capitale del Capodanno televisivo. Il format era molto semplice e statico: un grande palco all’aperto, un cast eterogeneo che mescolava vecchie glorie della musica leggera (capaci di far cantare il pubblico trasversale di Rai 1) – a volte ai limiti dello sconosciuto – e comici di richiamo, e il conto alla rovescia scandito da un cronometro in sovrimpressione, seguito da fuochi d’artificio sul mare.
Dopo il ciclo romagnolo, la Rai iniziò a sperimentare spostando l’evento in Valle d’Aosta, a Courmayeur dal 2011 al 2014. Questa fase “alpina”, ospitata nei palasport per ovvie ragioni climatiche, perse un po’ quella parte di connessione con la “piazza”. Fu con il successivo spostamento al Sud che il programma trovò la sua definitiva consacrazione economica e politica.
A partire dal 2015, invatti, L’anno che verrà cessa di essere solo uno spettacolo per diventare uno strumento di marketing territoriale (un po’ come Sanremo), se ci si passa la similitudine. RaiCom, il braccio commerciale della TV di Stato, inizia a stipulare accordi onerosi con le Regioni del Sud Italia, desiderose di riscattare la propria immagine e promuovere il turismo attraverso la vetrina più potente dell’anno.
L’analisi dei dati e delle cronache localirivela una strategia precisa:
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la fase lucana verso Matera Capitale della Cultura 2019 (2015-2019): la Regione Basilicata investì massicciamente per ospitare lo show. Per l’edizione 2019, ad esempio, la spesa regionale ammontava a circa 905.000 euro. Questo investimento rientrava nella più ampia strategia promozionale di “Matera Capitale della Cultura 2019”. Lo show toccò Matera, Potenza e Maratea, portando le bellezze lucane nelle case di milioni di italiani.
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la parentesi umbra (2021-2022): dopo l’edizione “da studio” del 2020 causata dal Covid, la Rai si spostò in Umbria (Terni e Perugia), seguendo la medesima logica di accordi con gli enti locali per la promozione del territorio, specialmente delle aree industriali (acciaierie di Terni) e storiche.
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la fase calabrese (2023-2026): è quella dentro cui ci troviamo. L’accordo più recente, siglato con la Regione Calabria, prevede un triennio di trasmissioni (Crotone, Reggio Calabria e, quest’anno, mentre scriviamo, si stanno ultimando i preparativi per Catanzaro) al costo di milioni di euro. Questo pacchetto “all-inclusive” non garantisce solo la notte del 31 dicembre, ma una copertura annuale capillare attraverso programmi come Linea Verde, Camper e Ballando con le Stelle, trasformando il Capodanno nel culmine di una narrazione mediatica costruita mese dopo mese.
La migrazione geografica del programma, dunque, non segue logiche artistiche ma flussi di denaro pubblico destinato alla promozione turistica. La Rai offre la piattaforma (con uno share garantito del 30-40%), le Regioni offrono il budget e le piazze.
| Periodo | Location Dominante | Sedi Specifiche | Conduttori Principali | Note Strategiche |
| 2003-2010 | Emilia-Romagna | Rimini (Piazzale Fellini) | Carlo Conti, Fabrizio Frizzi, Mara Venier | Nascita del format “piazza”. Consolidamento del modello nazional-popolare. |
| 2011-2014 | Valle d’Aosta | Courmayeur (Palasport) | Carlo Conti, Insinna & Frassica | Tentativo di un setting “invernale/alpino” indoor. |
| 2015-2019 | Basilicata | Matera, Potenza, Maratea | Amadeus, Rocco Papaleo | Inizio del modello “Marketing Territoriale”. Forte investimento regionale per Matera 2019. |
| 2020 | Lazio (Studio) | Roma (Studi Fabrizio Frizzi) | Amadeus, Gianni Morandi | Edizione anomala causa pandemia Covid-19. Assenza di pubblico. |
| 2021-2022 | Umbria | Terni (Acciaierie), Perugia | Amadeus | Ritorno alla piazza post-Covid. Valorizzazione dell’industria e centri storici. |
| 2023-2026 | Calabria | Crotone, Reggio Calabria, Catanzaro | Amadeus, Marco Liorni | Accordo pluriennale per il rebranding turistico della regione. |
Capodanno Cinque
Con la chiusura della storica Buona Domenica di Costanzo a metà degli anni 2000, dovuta a un fisiologico calo di ascolti e al mutare dei tempi televisivi, Canale 5 si trovò a dover ripensare radicalmente la propria offerta per la notte di San Silvestro. Il modello del “salotto caotico” non reggeva più il passo con la modernità. Dal 2006 con Roberta Capua, e in modo più strutturato e continuativo dal 2010 al 2013, la rete affidò il presidio del Capodanno Capodanno Cinque (e a Barbara D’Urso) che nel frattempo si era imposta nel daytime con Pomeriggio Cinque.
Le edizioni di Capodanno Cinque (in particolare quelle del 2010, 2011 e 2012) si caratterizzarono per una strategia di casting volta a rassicurare il pubblico più anziano (il core target di Canale 5 che invecchiava) e tentare timidamente di agganciare i giovani. Da un lato, il palco vedeva la presenza fissa di icone degli anni ’60, ’70 e ’80 come Little Tony, Marcella Bella, Donatella Rettore e i Los Locos, indispensabili per i balli di gruppo che animavano i salotti da casa. Dall’altro, si assisteva all’ingresso massiccio dei prodotti del vivaio Mediaset: i vincitori e i finalisti dei talent show come Amici di Maria De Filippi e X Factor (nella parentesi in cui andò in onda su Rai 2 ma i cui artisti circuitavano liberamente). Nomi come Alessandro Casillo (vincitore di Io Canto), Ics (da X Factor), o gli allievi della scuola di Amici, venivano inseriti in scaletta per creare segmenti dedicati al pubblico teen, costretto a guardare la TV con i genitori. Questa ibridazione rappresentava un tentativo di sinergia interna molto forte: il Capodanno diventava una vetrina promozionale per i prodotti discografici lanciati dalle stesse reti Mediaset durante l’anno. Un elemento innovativo introdotto in queste edizioni, seppur in forma embrionale, fu l’interazione con il web: i telespettatori potevano votare tramite il blog di Pomeriggio Cinque classifiche come “il meglio del 2011/2012” (eventi tv, gossip, amori), creando una prima forma di social TV rudimentale che cercava di coinvolgere attivamente l’audience. Tuttavia, nonostante gli sforzi produttivi e la conduzione energica della D’Urso (spesso protagonista di balli scatenati, cambi d’abito e coreografie con corpi di ballo numerosi guidati da coreografi come Antonio Baldes), il format iniziò a mostrare segni di sofferenza strutturale. La grandiosità degli eventi in piazza che Rai 1 stava iniziando a proporre con forza crescente faceva apparire lo studio di Cologno Monzese, per quanto addobbato a festa, come un luogo chiuso, artificiale e claustrofobico. Il pubblico iniziava a desiderare l’evento “vero”, la folla, il freddo, la diretta dalla piazza.
Il duopolio dello share e la battaglia delle piazze
Mentre la Rai costruiva la sua egemonia itinerante, Mediaset ha strutturato una contro-programmazione che ha portato alla creazione di un duopolio televisivo quasi perfetto. La sfida del 31 dicembre è diventata un classico scontro tra due filosofie editoriali.
La forza di L’Anno che Verrà risiede nella sua capacità di intercettare il pubblico “generalista” nel senso più ampio del termine. Le scelte di casting sono un mix di vecchia scuola della musica italiana (Al Bano, Ricchi e Poveri, Massimo Ranieri) che rassicurano il pubblico over-60, e innesti di pop contemporaneo (presi dai talent show o da Sanremo) per altri target.
La conduzione gioca un ruolo chiave. Per quasi un decennio (2015-2023), Amadeus è stato il volto del Capodanno, portando gli ascolti a livelli record (picchi oltre il 50% allo scoccare della mezzanotte e medie del 35-37%).12 La sua figura, divenuta centrale grazie ai successi sanremesi, ha garantito una continuità rassicurante. Il passaggio di testimone a Marco Liorni per l’edizione 2024-2025 da Reggio Calabria segna una nuova fase, che però non sembra aver intaccato la leadership della rete ammiraglia.
La prima risposta di Canale 5 all’egemonia di Rai 1 fu affidarsi non a un format, ma al carisma e alla potenza popolare di un singolo artista: Gigi D’Alessio. Il cantautore napoletano divenne il volto, il produttore e l’anima del Capodanno dell’ammiraglia Mediaset con il programma Capodanno con Gigi D’Alessio.
- 2014/2015 a Napoli L’evento inaugurale si tenne a Napoli, nella maestosa Piazza del Plebiscito. Fu un successo notevole, quasi inaspettato nelle proporzioni. Lo show registrò uno share del 22.75%, sfidando apertamente L’Anno che Verrà di Rai 1 che si fermò al 27.44%.1 La forbice tra le due reti non era mai stata così stretta negli anni recenti. La scelta di Napoli fu determinante: D’Alessio giocava in casa, supportato dall’amministrazione De Magistris e da una città che rispondeva con un calore viscerale, offrendo uno scenario visivo impareggiabile.
- 2015/2016 a Bari. L’anno successivo, l’evento si spostò a Bari, in Piazza della Libertà. Nonostante la presenza di ospiti giovani come The Kolors e popolari come Anna Tatangelo, lo share scese drasticamente al 17.49%, mentre la Rai risaliva al 31.45%.1 Il “brand” D’Alessio mostrava i primi limiti fuori dalle mura amiche partenopee.
2016/2017 a Civitanova Marche. L’edizione di Civitanova Marche, organizzata anche come segno di vicinanza alle terre colpite dal terremoto, segnò il punto più basso dell’esperimento. Lo share crollò al 14.98%, mentre la Rai volava oltre il 31.7%.
Poi Canale 5 rispose con Capodanno in Musica, un format che specchia quello Rai ma con un target leggermente più giovane e dinamico, spesso legato all’universo dei reality e dei talent Mediaset (Amici, Grande Fratello). Condotto storicamente da Federica Panicucci (talvolta affiancata da figure come Fabio Rovazzi), lo show si è posizionato come l’alternativa “frizzante” (come direbbero in Boris).
Nonostante gli sforzi, il divario di share rimane strutturale: Canale 5 oscilla tipicamente tra il 16% e il 25%, contro il 30-40% della Rai. Tuttavia, Mediaset ha saputo presidiare piazze importanti come Bari e Genova, creando eventi visivamente imponenti.
La competizione ha talvolta generato cortocircuiti mediatici. Un caso emblematico è avvenuto durante il Capodanno 2022 a Bari. Mentre l’Italia era ancora stretta nella morsa delle restrizioni Covid e le discoteche erano chiuse per decreto governativo, le immagini trasmesse da Canale 5 mostravano il pubblico del Teatro Petruzzelli impegnato in trenini e balli scatenati, con la conduttrice che incitava a trasformare il teatro in una discoteca. Questo scatenò una feroce polemica sui social e l’ira dei gestori dei locali notturni, evidenziando una scollatura tra la “bolla di impunità” televisiva e la realtà normativa del paese.
Per Mediaset, la vera innovazione di questa fase, che dura tutt’oggi, non fu tanto artistica quanto industriale: la convergenza radiofonica. L’evento divenne una co-produzione strategica con le emittenti del gruppo RadioMediaset (Radio 105, R101, Radio Monte Carlo, Radio Subasio) e partner locali fortissimi come Radionorba. Questa mossa ha trasformato il Capodanno di Canale 5 in un evento di “Radio-Visione”, permettendo di:
- verticalizzare e ringiovanire il target. Grazie al supporto delle radio, il cast si è arricchito di artisti amati dai giovani ascoltatori e dallo streaming (Riki, Irama, Elodie, Benji & Fede, Annalisa, The Kolors) mescolati sapientemente alle vecchie glorie necessarie per il pubblico generalista (Al Bano, Ricchi e Poveri, Patty Pravo, Fausto Leali).
- presidiare il territorio e i costi: le location sono diventate cruciali e frutto di accordi economici precisi. Da Bologna (Unipol Arena, 2017) si è passati a Bari (Piazza Prefettura, per più edizioni grazie alla partnership con Radionorba), Genova (Piazza De Ferrari, con il supporto della Regione Liguria) e Catania.12 Le amministrazioni locali pagano per ospitare l’evento, vedendolo come un gigantesco spot turistico, e Mediaset abbatte i costi di produzione.
Conti alla rovescia anticipati e bestemmie in diretta
Non sappiamo se fu per una corsa frenetica ad anticipare la concorrenza – il che sarebbe abbastanza buffo, visto che il tempo che scorre non è esattamente anticipabile – o se fu un banale errore umano, ma nel 2015 il conto alla rovescia di Rai 1 fu lanciato con circa 40 secondi di anticipo rispetto all’orario reale. Milioni di italiani brindarono al 2016 mentre era ancora il 2015. L’errore, apparentemente banale, ruppe il patto di fiducia sulla funzione di “orologio ufficiale” della nazione.
A peggiorare la situazione, nel ticker scorrevole degli SMS di auguri inviati dal pubblico, apparve una bestemmia in sovrimpressione. L’incidente causò un vero e proprio terremoto a Viale Mazzini (l’Italia, si sa, è capace di digerire cose nefande e indignarsi per peccati veniali). a Rai fu costretta a scusarsi ufficialmente, aprì un’inchiesta interna che portò alla sospensione di responsabili e modificò per sempre le procedure di controllo sui messaggi in diretta. Da allora, il filtro sui contenuti user-generated è diventato draconiano.
La latenza del tempo reale
Con la frammentazione della visione su piattaforme digitali (RaiPlay, Mediaset Infinity, Sky Go) e lo streaming via internet, il concetto di “tempo reale” è svanito. Il segnale via web può accumulare ritardi dai 20 ai 60 secondi rispetto al digitale terrestre, che a sua volta è in ritardo rispetto al segnale analogico di un tempo. Se non avete mai sperimentato questo paradosso, provate a seguire un match di Sinner – eh sì, il tennis è diventato così popolare – o una partita di calcio molto attesa in streaming con un bar nelle vicinanze e poi ne riparliamo.
C’è un vero e proprio disallineamento sociale: il vicino di casa che guarda la TV via antenna potrebbe urlare “Auguri!” mentre chi guarda in streaming è ancora nel vecchio anno. Le piattaforme come Twitch hanno impostazioni per ridurre la latenza, ma il problema fisico del buffering rimane insormontabile, rendendo la TV tradizionale via etere l’unico vero “tempo condiviso” rimasto.
I rituali parareligiosi: Mattarella e l’oroscopo
La serata televisiva del 31 dicembre è incorniciata da due momenti di alta ritualità che trascendono l’intrattenimento.
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Il messaggio del Presidente della repubblica (ore 20:30): è l’introito della liturgia. I dati dimostrano che il discorso di fine anno a reti unificate è un appuntamento imprescindibile, con ascolti che superano spesso i 10 milioni. Il record di Mattarella nel 2020 (15,2 milioni di spettatori) testimonia come, nei momenti di crisi, la nazione cerchi la voce del “padre” istituzionale prima di abbandonarsi alla festa.
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L’oroscopo (il giorno dopo): Se Mattarella (o comunque il Presidente della Repubblica) chiude l’anno, Paolo Fox (o comunque chi fa l’oroscopo) lo apre. La presenza dell’astrologo su Rai 2 a I Fatti Vostri è diventata un culto. Le sue previsioni, basate su grafici e toni rassicuranti (“non aver paura del cambiamento”, “rompere per ricostruire”), funzionano come una psicoterapia di massa laica. Il confronto con altri astrologi come Branko mostra una convergenza di significati, ma è la performance televisiva di Fox a dominare da anni l’immaginario, con picchi di viralità sui social che durano per giorni. Ora, potremmo dissertare dell’assurdità di un servizio pubblico televisivo che partecipa “all’illusione culturale di massa secondo cui la posizione apparente del sole rispetto a costellazioni definite arbitrariamente al momento della tua nascita influenzi in qualche modo la tua personalità” (nell’immagine, Sheldon Cooper mentre pronuncia questa frase in The Big Bang Theory, episodio pilota, in onda per la prima volta sulla CBS il 24 settembre 2007). Ma non è questa la sede. Teniamocelo perlomeno come appunto.
Se a questo punto vi siete chiesti come fanno all’esterò, be’, vediamolo insieme.
In Germania: l’eterno ritorno
In Germania, il Capodanno è un paradosso temporale. Mentre il mondo cerca la novità, i tedeschi (e con loro austriaci, svizzeri e scandinavi) si sintonizzano in massa per guardare sempre lo stesso programma: Dinner for One (titolo tedesco: Der 90. Geburtstag). Si tratta di uno sketch comico britannico di 18 minuti, registrato dalla NDR nel 1963 in bianco e nero, interpretato dai comici Freddie Frinton e May Warden. La trama è semplice: un maggiordomo deve servire la cena per il 90° compleanno di Miss Sophie, impersonando anche i suoi quattro amici defunti e ubriacandosi progressivamente.
È il programma televisivo più replicato della storia. Circa la metà della popolazione tedesca lo guarda ogni 31 dicembre. La frase “The same procedure as every year, James” è diventata un idioma nazionale. Antropologicamente parlando, Dinner for One offre la “rassicurazione dell’immutabile”. In un momento di transizione incerta come il Capodanno, vedere qualcosa che non cambia mai, che fa ridere negli stessi punti da 60 anni, è un balsamo sociale. Esiste anche lo show live dalla Porta di Brandeburgo (Willkommen 20xx), ma deve convivere con questo gigante del passato.
In Spagna: le Campanadas
La Spagna condivide con l’Italia la passione per la diretta e la piazza, focalizzandosi sulla Puerta del Sol a Madrid. Il rito centrale è quello delle doce uvas: mangiare dodici chicchi d’uva in sincrono con i dodici rintocchi dell’orologio del Palazzo delle Poste. Ma la TV spagnola ha anche introdotto l’uso della moda come evento mediatico. La presentatrice Cristina Pedroche (Antena 3) ha trasformato il suo outfit in un caso nazionale. Ogni anno indossa abiti scultorei, spesso semitrasparenti o portatori di messaggi sociali (sulla pace, sulla maternità, sull’ambiente), creando un’attesa spasmodica (“Cosa indosserà la Pedroche?”). Questa strategia ha permesso alla TV commerciale Antena 3 di superare negli ascolti la storica TV pubblica TVE, dimostrando come la “polemica visiva” possa rivitalizzare un rito secolare.
Giappone: lo scontro generazionale del kōhaku
In Giappone, il Capodanno televisivo è il Kōhaku Uta Gassen (Battaglia canora Rossa e Bianca) della NHK. È una competizione rigorosa tra la squadra femminile (Rossa) e quella maschile (Bianca). A differenza dell’Italia, dove la TV generalista unisce ancora, almeno parzialmente, le generazioni, il Kōhaku sta vivendo una crisi demografica profonda. Gli ascolti sono crollati dai fasti del passato (oltre 80%) a meno del 30-35%. Il pubblico anziano vuole l’Enka (canzone tradizionale), i giovani vogliono il J-Pop e il K-Pop. L’inclusione di artisti K-Pop per attrarre i giovani ha alienato i conservatori, mentre i giovani preferiscono comunque lo streaming. Il Kōhaku è diventato lo specchio di una società che fatica a trovare un linguaggio musicale comune tra le generazioni.
Regno Unito e USA: tra finzione e commerciale
La BBC trasmette il Jools’ Annual Hootenanny. È uno show musicale di altissima qualità, ma con un segreto di Pulcinella: è pre-registrato a dicembre (spesso mesi prima). Il conto alla rovescia è finto. Gli inglesi lo sanno, ci scherzano su, ma lo guardano per la qualità della musica, accettando il “patto di finzione” in cambio dell’eccellenza artistica.
USA: Il Dick Clark’s New Year’s Rockin’ Eve (ABC) è una macchina da guerra pubblicitaria. Nato per contrapporre il rock alle big band tradizionali, oggi è un mosaico di performance registrate a Los Angeles e dirette da Times Square per la “Ball Drop”. È un prodotto industriale perfetto, progettato per massimizzare gli slot pubblicitari su scala globale.
La sociologia del “rumore di fondo”
Secondo Aldo Grasso, la tv di Capodanno non è fatta per essere guardata con attenzione. La sua funzione primaria è quella di “rumore di fondo” (wallpaper television). Durante i lunghi cenoni, spesso costellati da momenti di stanca o imbarazzo tra parenti che si vedono raramente – e infatti c’è chi li evita! –, il televisore acceso funge da lubrificante sociale. Riempie i silenzi, offre argomenti di conversazione estemporanei (“Guarda come è invecchiato!”, “Ma chi è questo giovane?”, “Ma chi cavolo sono i fratelli La Bionda?” ), e scandisce i tempi fisiologici della festa (l’antipasto, il cotechino, il brindisi).
Le battute dei conduttori, spesso criticate per la loro banalità, sono in realtà studiate per essere inoffensive e frammentarie: devono poter essere ascoltate a sprazzi senza perdere il filo, perché un filo narrativo vero e proprio non esiste.
C’è poi un elemento di resistenza culturale: il Capodanno rimane uno degli ultimi baluardi del varietà vecchio stile. Musica, balletti, comici, lustrini: è un linguaggio che rimanda a un’Italia pre-digitale, che ammicca quasi nostalgicamente a un passato migliore mai realmente esistito.
Il pubblico italiano, anche quello più giovane, tende a “perdonare” alla TV di Capodanno difetti che non accetterebbe altrove (tranne le bestemmie!): l’audio gracchiante della piazza, il fuori sincrono, la gaffe. Questa tolleranza nasce dal bisogno di autenticità. A differenza degli inglesi che accettano la perfezione finta di Hootenanny, gli italiani preferiscono l’imperfezione vitale della diretta. Vogliamo vedere il vapore che esce dalla bocca dei cantanti al freddo, vogliamo sentire il rumore della folla, perché questo ci conferma che siamo vivi, insieme, nello stesso istante, pronti ad affrontare l’incognita dell’anno che verrà.






