L’amore è cieco Italia, la potenza di un cast che non avrebbe partecipato al Grande Fratello
Amore è cieco Italia Ludovica

Netflix rilascia, dall’8 dicembre 2025, la seconda parte della edizione italiana. La visione è consigliatissima: il format educa alla responsabilità matrimoniale e dimostra che lo scripted reality vince su quello in studio per l’eterogeneità del livello socioculturale, oltre che dialettico, dei concorrenti

Dopo il fenomeno The Traitors Italia, faraonico reality vip di Prime Video che ha trovato il pieno successo di pubblico e critica, anche Netflix Italia ha trovato uno scripted reality nip di cui andar fiera. Non poteva andare diversamente per il rodato Love is blind, già disponibile sulla piattaforma con un gran numero di edizioni estere che, poste a confronto, offrono grandi spunti antropologici: un matrimonio al buio risulta, di fatto, affrontato con reazioni difformi da persone di nazionalità e culture diverse.

È bene qui concentrarsi sull’edizione italiana ossia L’amore è cieco, di cui Netflix ha rilasciato i primi quattro episodi mozzafiato il 1º dicembre, partendo da un punto di forza su tutti: il cast all’ennesima potenza. Un gruppo di promessi sposi sofisticati e aspirazionali, quasi assemblati in maniera chirurgica dall’AI per dar vita a dinamiche relazionali tanto verosimili quanto ripulite da aspetti volgarmente istintuali.

Uno spaccato di varia e interessante umanità, insomma, che difficilmente avrebbe accettato di partecipare al Grande Fratello nel 2025.

L’amore è cieco Italia batte il Grande Fratello (di oggi) in materiale umano

Alessandro Lukacs gf

L’edizione 19 del reality più spiato d’Italia, che celebra intanto i venticinque anni dal debutto del format, sta scontando di fatto un livellamento verso il basso dei suoi concorrenti. La causa è da ricondursi a un equivoco di fondo, secondo cui l’uomo della strada, scelto per il suo vissuto strappalacrime e proletario, costituisce l’unico antidoto ai personaggini in cerca di facile popolarità. Il risultato è una omologazione diffusa che appiattisce il racconto, anche per l’assenza di confronto tra persone di estrazione socioculturale differente: sono lontani anni luce i tempi in cui professionisti a vario titolo interrompevano attività ben remunerate e prestigiose per entrare nella Casa più spiata d’Italia, pensando che l’incontro con dei ragazzi pasoliniani potesse costituire un valore aggiunto in termini di esperienza di vita. Pensiamo a Alessandro Lukacs, concorrente del Gf 2 noto per la sua liaison con l’allora barista Mascia Ferri: un dentista affermato come lui sarebbe disposto, oggi, a esporsi in un contesto di polemiche garantite e liti che si prestano a essere fomentate e spettacolarizzate per tener vivo il racconto?

Partecipare a un reality in onda h24 implica, ormai, un bivio forzato: godere di una popolarità mordi e fuggi, che condanna a un repentino ritorno all’anonimato con ripercussioni reputazionali sul proprio lavoro di partenza, o monetizzare il proprio boom di follower sui social con attività di sponsorizzazioni (ma, di fatto, sono in pochi ad averlo trasformato in un nuovo lavoro e a farlo durare col tempo).

Un gioco d’azzardo di questo tipo funziona per chi non ha nulla da perdere e, al tempo stesso, ha poco da raccontare. Un rischio scongiurato da un esperimento sociale come L’amore è cieco, che confeziona una immagine “tipologica” dei suoi partecipanti, sicuramente esponendoli in maniera permanente su una library di contenuti ma senza intaccarne la dimensione più privata, quella delle abitudini quotidiane e dell’intimità, come un reality in diretta sa spietatamente fare.

Questo consente ai responsabili dei casting di contare su un materiale umano meno esibizionista e più profilato anche sul piano dialettico. L’amore è cieco punta sul concept dell’appuntamento al buio, in cui dei single si parlano attraverso capsule comunicanti senza vedersi; di conseguenza, il bello senza personalità e incapace di comunicare non trova spazio per una selezione naturale. Da questo punto di vista, il format in questione si basa su un principio elettivo e persino educativo, secondo cui – per avere successo in un reality, oltre che in una lunga vita coniugale – bisogna avere dei contenuti e saperli esprimere.

Se, ad una prima vista, i concorrenti sembrano selezionati dalle risorse umane di un’azienda milanese (imprenditori, e-commerce merchandiser e manager di vario genere si sprecano), sono le loro esperienze di vita resilienti, aperte al cambiamento professionale e al contempo legate alle proprie radici, a offrire uno spaccato generazionale stimolante per lo spettatore medio Over30, indotto a farsi delle domande, a immedesimarsi e a mettersi in discussione.

L’amore è cieco Italia è un corso prematrimoniale a costo zero

Giovanni Calvario

Cosa induce un uomo o una donna in carriera, in una società consumistica e che mira all’edonismo personale, ad abbracciare il noi per tutta la vita? È la domanda di senso che pervade l’intero format trovando risposte forti e autenticamente contraddittorie nel corso degli episodi. Cosi, tra i personaggi più divisivi del reality, c’è Giovanni Calvario, imprenditore 36enne romano nel settore dei Grandi Eventi: al buio preferisce la biologa genetista Giorgia (una faccia da cinema che spacca, evocando Luisa Ranieri) alla store manager Gergana con il motivo che la prima l’ha messo in discussione: topica la lite sulla gestione di un figlio adolescente, con lui che perde punti ipotizzando di chiamare un taxi per farlo riportare a casa. Al momento dell’incontro tra le coppie Giovanni, da sempre magnetico e sicuro di sé con il suo eloquio seduttivo, ha incarnato l’uomo medio italiano dal ripensamento facile: per un’attrazione mentale aveva chiesto a Giorgia di sposarlo, ma a pelle è risultato attratto da Gergana mettendo in discussione la sua scelta.

Il personaggio femminile più coinvolgente, che avrebbe vinto a mani basse un qualsiasi reality generalista, è Ludovica Maria Cappello, responsabile di un e-commerce e casertana doc. La sua storia nel programma è divisa tra la proiezione in un futuro diverso dalle sue condizioni di partenza e la voglia di essere sé stessa e non sentirsi giudicata dal proprio uomo. Per questo il suo dilemma è legato alla scelta tra l’ex calciatore bresciano Nicola, da cui teme di essere snobbata dal vivo, e l’imprenditore napoletano Davide, tanto affine a lei per spirito quanto apparentemente superficiale. Alla fine prevale il richiamo delle origini ma, al momento dell’incontro collettivo delle coppie, Nicola – da egocentrico che non accetta il rifiuto – le instilla il dubbio sulla sua scelta (pur senza riuscirci fino in fondo).

La sensazione complessiva è quella di un racconto che non istiga al matrimonio facile ma, al contrario, mette al tappeto i suoi concorrenti, anche i più disinvolti, rispetto alla responsabilità imposta da una scelta coniugale. Il ritratto complessivo che vien fuori è quello di una immaturità affettiva, rispetto alla quale un reality può offrire degli strumenti terapeutici e riabilitativi. Per non essere disposti a vivere di solo business ed emozioni di pancia, bisogna fare un percorso di crescita, un “viaggio nei sentimenti” al quadrato che ha come destinazione una promessa seria per tutta la vita. A tale proposito, il confronto con Temptation Island ha finito per rovinare le reazioni di alcuni concorrenti che, rispetto alle versioni estere del format, scimmiottano dei modelli defilippici: di sedie capovolte in preda all’ira (Nicola docet) o di frasi ad effetto degne di Uomini e donne (per Gergana, in piena friendzone, “c’è a chi piacciono i diamanti e a chi gli zirconi”) ne avremmo volentieri fatto a meno su Netflix.

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