Dalle prime antenne al digitale: 50 anni di televisione locale in Liguria
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Dalle prime antenne improvvisate degli anni ’70 alla rivoluzione del digitale terrestre: come le emittenti liguri hanno scritto una storia di libertà, identità e resistenza nel mondo dei media.

Il nostro viaggio nell’universo delle TV locali prosegue. Questa ‘tappa’ si ferma in Liguria, terra dove la curiosità, l’intraprendenza e la voglia di raccontarsi in modo diretto hanno fatto da benzina al cambiamento.

Ripercorriamo più di cinquant’anni di televisione ligure, dal 1974 a oggi. È la storia – anche questa – di una realtà che cambia, ma che in fondo resta fedele a se stesso: quello dell’informazione locale, tra microfoni accesi, notiziari artigianali e rivoluzioni tecnologiche. Partiamo dagli anni “pionieri” – settanta e ottanta – dove regnava il caos creativo, tra antenne fatte in casa e studi montati nei garage. Poi arrivano gli anni della crescita: la legge Mammì del 1990 mette un po’ d’ordine, le emittenti diventano vere aziende, e la TV locale si fa professionale.

Oggi siamo nel pieno della terza fase: quella digitale. Tutto è cambiato – piattaforme, schermi, pubblici – e la grande domanda è una: ha ancora senso la TV locale nell’era di TikTok e YouTube?
In questo viaggio tra storia, leggi, casi emblematici e nuove sfide, scopriamo come le televisioni liguri abbiano saputo reinventarsi (più volte) per continuare a raccontare la loro gente.

Addio monopolio, benvenuta rivoluzione

Per capire come sono nate le TV locali in Liguria bisogna fare un passo indietro e guardare il quadro nazionale. Perché no, non è che da un giorno all’altro qualcuno si sia svegliato e abbia acceso un’antenna sul tetto. Quello delle emittenti private fu un vero terremoto – culturale, tecnologico e politico – che mise fine a un sistema televisivo rimasto immobile per decenni.

Fino al 1974 c’era solo la RAI, padrona assoluta dell’etere dal 1954. Nel frattempo, fuori dai palazzi, la società ribolliva: studenti, operai, movimenti. Tutti chiedevano la stessa cosa: più voci, più libertà, più pluralismo. E la RAI, da sola, non bastava più.

Poi arrivò la concorrenza dall’estero. Dal Nord Italia si iniziavano a captare i segnali di Telemontecarlo, Capodistria e la TV Svizzera Italiana. Avevano un taglio diverso, più libero, più pop, e — attenzione — trasmettevano a colori!
La RAI, che per anni aveva rimandato il passaggio al colore, si trovò così costretta a inseguire, arrivandoci solo nel 1977.

La giungla dell’etere: tutti in onda!

Ma la vera svolta non arrivò dai politici, bensì dai tribunali. A cambiare la storia fu un certo Peppo Sacchi, ex regista RAI e fondatore di Telebiella (ne abbiamo parlato qui), una delle prime TV via cavo. Lo stato cercò di fermarlo, lui fece ricorso… e vinse.

Nel 1974, la Corte Costituzionale stabilì che trasmettere via cavo in ambito locale non violava il monopolio, perché non toglieva frequenze all’etere nazionale. In pratica: se restavi nel tuo quartiere, potevi farlo. Due anni dopo, un’altra sentenza – quella del 1976 – allargò il principio anche alle trasmissioni via etere. E boom! In tutta Italia iniziarono a spuntare come funghi emittenti locali, spesso improvvisate ma piene di entusiasmo.
Era la “giungla dell’etere”: nessuna regola chiara, nessuna pianificazione, ma tanta creatività.

In mezzo a questo caos nasce anche la Riforma RAI del 1975, che trasferì il controllo della tv pubblica dal Governo al Parlamento. Un passo avanti, certo, ma anche l’inizio della famigerata “lottizzazione” politica.
Insomma, mentre la RAI cercava di riorganizzarsi, fuori stava esplodendo un mondo nuovo.

Anno Evento Normativo/Sentenza Sviluppo Tecnologico Impatto sul Sistema
1974 Sentenza 226/1974 (legittimità cavo locale) Nascita TV via cavo Fine del monopolio assoluto (a livello locale via cavo)
1975 Legge 103/1975 (Riforma RAI) “Lottizzazione” della RAI, passaggio al controllo parlamentare
1976 Sentenza 202/1976 (legittimità etere locale) Nascita TV via etere Inizio della “Occupazione dell’etere”
1984 Decreti Berlusconi Sviluppo syndication (cassette) Legalizzazione provvisoria dei network nazionali privati
1990 Legge Mammì (n. 223/1990) Regolamentazione del duopolio RAI-Fininvest
1997 Legge Maccanico (n. 249/1997) Introduzione Pay TV Nascita dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM)
2004 Legge Gasparri (n. 112/2004) Pianificazione Digitale Terrestre (DTT) Disciplina della transizione al digitale e tutela dell’emittenza locale
2011-2012 Primo Switch-off (Liguria: 2011) Passaggio da analogico a DVB-T Fine delle trasmissioni analogiche, nascita dei multiplex
2017 DPR 146/2017 Riforma del sistema di contributi statali all’emittenza locale
2022-2025 Secondo Switch-off (Liguria: 2022) Refarming 700MHz, DVB-T2/HEVC Liberazione frequenze per il 5G, transizione a nuovi standard di trasmissione

Appena arrivarono le prime aperture legali, cominciarono a spuntare esperimenti dappertutto.

Nel 1974, Telegenova – fondata da Umberto Bassi – divenne la prima TV ligure (e una delle prime in Italia) a trasmettere via cavo: un piccolo miracolo tecnologico in tempi in cui bastava un saldatore, un’antenna e tanta buona volontà.

Subito dopo arrivarono Tele Camogli Golfo Paradiso, Tele Superba, TV Genova e Tele Gallinara ad Alassio. Tutte nate tra il 1974 e il 1975, in un fermento generale che dimostrava quanta voglia di comunicare ci fosse sul territorio.

Con la liberalizzazione dell’etere del 1976, il gioco si allargò. Molte tv via cavo si trasformarono in emittenti via etere, più economiche e capaci di raggiungere più gente. È il caso di Telecittà (nata come Tv Ge via cavo nell’aprile 1974) che iniziò a trasmettere via etere già l’11 giugno 1976, pochi giorni prima della famosa sentenza che cambiò tutto.

C’erano poi storie un po’ folli e tipicamente italiane: come quella di Teleliguria, nata a Camogli nel 1975 e “assorbita” l’anno dopo da Telerapallo, che continuò a usare lo stesso nome. Oppure quella di Telenord, creata da Alberto Monti, partita via cavo nel 1974 e diventata TN4 nel 1977.

Quel periodo fu un caos organizzato, ma anche una fucina di idee. L’assenza di una legge chiara, unita all’obbligo di restare “locali“, spinse le emittenti a inventarsi un linguaggio tutto nuovo.
Per sopravvivere, dovevano parlare della loro gente: notizie di quartiere, sport dilettantistico, cronaca cittadina, dibattiti da bar, insomma, la vita vera.

La limitazione legale – quella di non andare oltre i confini locali – diventò paradossalmente la loro forza. Le TV liguri, e con loro tante altre in Italia, trovarono così la loro identità: raccontare il territorio, con il suo accento, le sue storie e le sue facce.

Dalla “giungla dell’etere” degli anni ’70 non tutte le emittenti sopravvissero, anzi, molte sparirono nel giro di pochi mesi. Ma qualcuna riuscì a mettere radici, crescere, e diventare parte fissa del paesaggio televisivo ligure.
Sono loro i pilastri: le reti che hanno saputo trasformarsi da esperimenti casalinghi in vere e proprie aziende editoriali, capaci di informare, intrattenere e raccontare la regione per decenni.

Ciascuna con il suo stile, la sua voce, il suo pubblico.
C’è chi ha puntato sull’informazione, chi sulla cronaca sportiva, chi ha scelto di raccontare la Liguria con ironia e accento locale. Tutte, però, hanno avuto un ruolo chiave: quello di creare un legame diretto con la comunità, portando sullo schermo la vita di tutti i giorni: quartieri, tradizioni, dialetti, e anche un po’ di orgoglio ligure.

Il profilo delle principali emittenti storiche liguri

Emittente Anno di Nascita Fondatore/i Caratteristica Distintiva Status (Novembre 2025)
Telegenova 1974 Umberto Bassi La pioniera assoluta Attiva
Telenord 1974 (cavo) / 1977 (etere) Alberto Monti La TV dello sport Attiva
Primocanale 1982 Mario Paternostro / Calisto Tanzi La TV dell’informazione Attiva (leader di mercato)
Telecittà (Tv Ge) 1974 Osvaldo Palese La voce operaia e sindacale Assorbita da Primocanale (2008)
Teleliguria 1975 Giovanni Battista Verdina L’emittente “camaleonte” Attiva (piattaforma VOD)

Telegenova – La prima scintilla

Tutto parte da qui. Nel 1974, Umberto Bassi accende per la prima volta il segnale di Telegenova, la primissima TV ligure e una delle prime in assoluto in Italia. Un esperimento pionieristico che, già nel 1977, aveva un’identità chiarissima: raccontare Genova e la Liguria, con un telegiornale quotidiano e tanto, tantissimo sport.
Programmi come Qui Stadio, Qui Studio e Liguria Sport parlavano di Sampdoria e Genoa quando ancora le TV private erano agli albori. Accanto alle partite, c’erano rubriche culturali come Poesia in salotto e programmi di servizio come I problemi della casa. Era una TV che voleva esserci per tutti, dai tifosi agli amanti della cultura.

Negli anni ’80 arriva una fase più turbolenta: crisi, cambi di direzione e un periodo in cui la regia passa a Michele Franceschelli, che in seguito diventerà direttore di Rete 4.
Nel 1986, la svolta: Salvatore Cingari (già editore di Teleliguria) rileva l’emittente e inizia un vero processo di rilancio. Da allora, Telegenova attraversa diverse fasi — tra cui l’esperienza di Telegenova Live nel 2013 — fino al 2015, quando l’imprenditore Sergio Barello la riporta al suo nome originario e punta su un mix moderno di informazione, sport e cultura.
Oggi trasmette dal Cineporto di Cornigliano, sul canale 14 del digitale terrestre, mantenendo viva un’eredità lunga mezzo secolo.

Telenord – La regina dello sport

Nata nel 1974 come rete via cavo e diventata TN4 via etere nel 1977, Telenord è la classica storia di chi ha saputo giocare d’attacco. L’idea dell’imprenditore Alberto Monti era chiara: entrare in circuito con le grandi (Euro TV, Odeon TV) ma restare fedele all’anima ligure.
Ne uscì un palinsesto ibrido, tra programmi nazionali e contenuti locali, che negli anni si è trasformato in una macchina perfetta per chi ama lo sport.

Negli anni ’90 e 2000, Telenord diventa il tempio del calcio genovese. Talk show come Il derby del Martedì, con Aldo Biscardi e opinionisti leggendari come Franco Scoglio e Vujadin Boškov, entrano nella mitologia locale. Era la TV dei dibattiti infuocati, delle analisi viscerali, delle battute che diventavano virali ancora prima dei social.
Oltre al calcio, l’emittente ospitava anche voci insolite per una rete locale come Vittorio Sgarbi con la rubrica Sgarbi culturali, e gli ex calciatori Fulvio Collovati e Beppe Dossena.

Dal 2008, con la sede nel cuore di Via XX Settembre, Telenord continua a macinare programmi come Il derby del lunedì, We Are Genoa e Forever Samp. In pratica: una vita intera dedicata al pallone, ma sempre con stile e passione.

Primocanale – La voce dell’informazione

Quando Mario Paternostro lancia Primocanale il 2 gennaio 1982, con il sostegno economico di Calisto Tanzi, l’obiettivo è chiaro: fare una TV di notizie. E la storia gli darà ragione.

Il momento decisivo arriva nel luglio 2001, durante il G8 di Genova. In quei giorni caotici, Primocanale non si ferma mai: dirette continue, immagini forti, un racconto in tempo reale che finisce su tutte le principali reti italiane e internazionali. È lì che il pubblico scopre anche Ilaria Cavo, le cui cronache dal campo vengono notate da Bruno Vespa, che la chiama a collaborare con Porta a Porta.

Dopo quell’exploit, Primocanale cresce ancora. Nel 2008 acquisisce Telecittà, creando un polo televisivo regionale. Ma l’operazione porta con sé polemiche: la chiusura della redazione autonoma di Telecittà e il licenziamento di alcuni giornalisti fanno discutere. Nonostante ciò, Primocanale resta il punto di riferimento dell’informazione ligure: approfondimenti, politica, cultura, e format come Il racconto di Genova o Viaggio in Liguria raccontano una regione in costante movimento.

Teleliguria e Telecittà – Le metamorfosi

Telecittà nasce nel 1974 come Tv Ge, nel cuore del quartiere operaio del Biscione. Fin dall’inizio è una rete “militante”: gestita da PCI, Lega delle Cooperative e CGIL, vuole essere la voce del mondo del lavoro e dei movimenti sociali.
Negli anni si evolve, aggiungendo rubriche come L’inquilino, Parliamo di libri e Il Mercatino — una sorta di Portobello genovese ante litteram.
Nel 2008 – come detto – viene assorbita da Primocanale, chiudendo una pagina storica dell’informazione cittadina.

Teleliguria, invece, è l’esempio di chi ha saputo cambiare pelle. Dopo vari passaggi di mano (tra cui Alberto Monti e Salvatore Cingari), e una fase in cui diventa canale secondario di Telegenova, trova la sua nuova vita nell’era digitale.
Sotto la guida di Verdiano Vera, abbandona la logica della TV lineare per trasformarsi in una piattaforma VOD Freemium: contenuti on-demand su territorio, cultura, formazione e innovazione.
Una metamorfosi che mostra come anche una storica emittente locale possa reinventarsi e continuare a raccontare la Liguria, ma con linguaggi e strumenti nuovi.

Leggi, cavi e rivoluzioni digitali

Dopo i tempi eroici dei pionieri e la nascita delle prime reti, le TV locali — in Liguria come nel resto d’Italia — si sono trovate davanti a due grandi sfide: la burocrazia e la tecnologia.
Da un lato, serviva mettere un po’ d’ordine nel caos delle frequenze; dall’altro, bisognava sopravvivere all’arrivo del digitale, che avrebbe cambiato tutto.

Il duopolio e la Legge Mammì: quando arrivano le regole

Negli anni ’80 entra in scena Silvio Berlusconi. Con le sue reti (Canale 5, Italia 1 e Rete 4) e il sistema della syndication – videocassette spedite alle TV locali per trasmettere gli stessi programmi in contemporanea – inventa di fatto la prima rete privata nazionale. Era tutto un po’ borderline, ma nel 1984 arrivano i famosi Decreti Berlusconi a legalizzare la situazione.

Poi, nel 1990, arriva la Legge Mammì, la prima norma vera e propria che mette ordine nell’etere italiano. Riconosce ufficialmente il duopolio RAI–Fininvest e stabilisce regole su concessioni, pubblicità e tipologie di emittenti (commerciali o “comunitarie”, cioè no-profit).
Per le TV locali, è un’arma a doppio taglio: finalmente hanno un riconoscimento legale, ma anche tanti nuovi vincoli.
La legge, di fatto, congela la gerarchia esistente: RAI e Fininvest in cima, e sotto tutto il mondo locale, che da quel momento in poi dovrà lottare con pochi mezzi e margini ridotti.

L’arrivo del digitale: la rivoluzione del DTT

La seconda grande scossa è tecnologica: l’addio all’analogico e l’arrivo del digitale terrestre (DTT).
L’obiettivo ufficiale era liberare spazio per la telefonia e migliorare la qualità del segnale. Ma per molte TV locali si è trasformato in una vera prova di sopravvivenza.

In Liguria, lo switch-off – cioè lo spegnimento definitivo del segnale analogico – arriva tra ottobre e novembre 2011.
Il passaggio non è semplice: tempi stretti, burocrazia infinita e costi pesanti per adeguare gli impianti. Le associazioni del settore, come Aeranti-Corallo, protestano per i ritardi e le difficoltà logistiche.
Da un lato, il digitale apre nuove possibilità: più canali, palinsesti tematici, offerte diversificate (come Primocanale Tg24, Sport e Sound). Dall’altro, i costi di aggiornamento diventano insostenibili per molti.

Un simbolo di questa crisi è Telemasone, storica emittente comunitaria nata nel 1984: dopo quasi quarant’anni di attività, chiude nel 2022, travolta dalle spese del digitale. È la dimostrazione di come la tecnologia, più che un aiuto, si sia trasformata in un filtro naturale: sopravvive solo chi è strutturato e ha capitali.

Dalla legge Gasparri al DVB-T2: un cambiamento senza fine

Il capitolo “digitale” viene regolato nel 2004 dalla Legge Gasparri, che promette di dare spazio anche alle emittenti locali.
La norma riserva un terzo delle frequenze proprio a loro, concede più libertà pubblicitaria (fino al 40% giornaliero, televendite comprese) e permette interconnessioni fino a 12 ore al giorno.
Sulla carta sembra una rinascita, ma in realtà è solo l’inizio di una transizione infinita.

Dopo il primo switch-off, arriva una seconda rivoluzione: bisogna liberare la banda 700 MHz per il 5G, e con essa cambiano ancora codifiche e frequenze. Tra maggio e giugno 2022, la Liguria affronta il passaggio da MPEG-2 a MPEG-4. Un’altra corsa contro il tempo.

Il traguardo finale dovrebbe essere il DVB-T2, il nuovo standard “super efficiente” con codifica HEVC. Ma a ottobre 2025, il passaggio non è ancora stato completato e manca una data certa per lo spegnimento definitivo del vecchio sistema. Nel frattempo, sono finiti anche gli incentivi come il Bonus tv e decoder, e molte famiglie non hanno ancora aggiornato gli apparecchi.

Insomma, la rivoluzione digitale sembra una serie TV senza l’ultima puntata: annunci, proroghe, e un settore che resta in bilico tra innovazione e precarietà.

Il panorama attuale della TV ligure (2015–2025)

Negli ultimi dieci anni, le televisioni locali liguri si sono trovate davanti alla sfida più difficile di sempre: sopravvivere in un mondo che guarda sempre meno la TV e sempre più lo smartphone.
Digitalizzazione, streaming, social, algoritmi: tutto è cambiato. E le emittenti locali hanno dovuto reinventarsi, cercando di restare sostenibili senza perdere la loro identità: quella voce vicina, concreta, “di quartiere”, che le ha sempre rese speciali.

Tra spot e sussidi: la difficile economia del locale

Il business delle TV liguri è un equilibrio instabile tra pubblicità locale e aiuti pubblici.
Gli spot restano la linfa principale, ma la concorrenza di giganti come Google e Meta ha svuotato il mercato. Gli inserzionisti locali investono meno, e molte emittenti si salvano solo grazie a format a basso costo – televendite e pubblicità diretta – che occupano ore e ore di palinsesto, soprattutto di giorno.

Per tenere in piedi le redazioni serve il supporto dello Stato.
Dal 2017, il Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione (gestito dal MIMIT) assegna contributi alle emittenti che dimostrano di avere una struttura solida, giornalisti assunti, investimenti tecnologici e contenuti di qualità.
Nel 2025, sono arrivate 1.154 domande da tutta Italia (151 TV commerciali e 413 comunitarie): un numero che dice molto sulla dipendenza crescente da questi fondi.

In Liguria, diverse reti continuano a beneficiarne, spesso integrando anche piccoli finanziamenti regionali per l’innovazione o lo sviluppo economico. È una sorta di patto implicito: lo Stato aiuta le TV locali a sopravvivere, e loro, in cambio, garantiscono pluralismo e informazione di prossimità — una funzione pubblica che i colossi globali non potranno mai sostituire.

Oltre lo schermo: la strategia digitale

Oggi le emittenti liguri non sono più solo canali TV: sono media hub. Hanno capito che per restare rilevanti devono essere ovunque: in TV, online, sui social, in diretta streaming e on demand.

Primocanale.it, nel 2025, è un portale “digital first”: una homepage che si aggiorna di continuo con notizie, video e approfondimenti. C’è il tasto LIVE sempre visibile per seguire la diretta, una sezione On Demand per rivedere i programmi e persino sondaggi interattivi durante le elezioni comunali. È una vera redazione multicanale, dove il flusso digitale non è più un’aggiunta, ma il cuore del sistema.

Telenord.it segue la stessa logica: cronaca, sport, cultura e tanto archivio video, dai talk calcistici a rubriche come Benvenuti in Liguria. Sui social – in particolare YouTube – carica estratti e clip pensati per un pubblico più giovane e mobile.

Ma questa evoluzione porta anche un dilemma: più contenuti online significa meno valore per il segnale televisivo.
Lo streaming gratuito rischia di cannibalizzare la TV tradizionale, i cui costi di trasmissione restano altissimi. E, paradossalmente, i ricavi digitali non bastano a compensare: la pubblicità sul web è dominata dalle big tech e lascia alle emittenti solo le briciole.

La trasformazione di Teleliguria in piattaforma VOD Freemium, tutta on-demand, potrebbe quindi essere il primo segnale di un nuovo modello di sopravvivenza: meno “palinsesto”, più contenuti mirati, flessibili e sponsorizzabili.

Il ruolo sociale: la Liguria in diretta

Nonostante tutto, le TV locali liguri restano un pezzo fondamentale della vita regionale.
Sono il luogo dove la politica incontra la gente: talk, interviste, dibattiti elettorali, dirette dai consigli comunali.
Sindaci, assessori e consiglieri passano ancora da Primocanale o Telenord per parlare direttamente ai cittadini. E funziona: gli studi dimostrano che una buona informazione locale aumenta la partecipazione e la fiducia nella politica.

Ma il loro ruolo va oltre: queste emittenti tengono viva la memoria e la cultura ligure.
Programmi come Viaggio in Liguria o Benvenuti in Liguria sono veri e propri racconti identitari: parlano di cibo, dialetti, borghi, tradizioni, panorami.
In un mondo globalizzato, raccontano ancora la Liguria dei liguri, quella che non trovi su Netflix.

E poi c’è la dimensione sociale: in una regione dove l’età media è alta e molti vivono in zone isolate, la TV locale resta un servizio pubblico essenziale. È compagnia, informazione pratica e senso di comunità.
Le ricerche dell’Osservatorio di Pavia confermano che i telegiornali locali dedicano molto più spazio ai temi sociali (sanità, scuola, solidarietà) rispetto ai notiziari nazionali. E soprattutto, danno voce ai cittadini comuni, facendoli diventare parte del racconto del territorio.

50 anni di onde, antenne e poi…il futuro

La storia delle televisioni locali in Liguria è un racconto lungo mezzo secolo fatto di idee, coraggio e testardaggine.
Nate come ribellione al monopolio statale, queste emittenti hanno rappresentato fin da subito una piccola rivoluzione: libertà di parola, creatività, comunità. Negli anni ’70 bastavano un’antenna, un cavo e tanta voglia di fare per dare vita a un nuovo modo di comunicare. Da quel vuoto normativo è esplosa un’energia che ha generato un vero ecosistema mediatico locale, capace di dare voce a chi non ne aveva mai avuta.

Reti come Telegenova, Telenord e Telecittà non erano solo televisioni: erano spazi sociali e culturali dove si parlava di politica, sport, poesia, quartieri. La loro forza è stata sapersi costruire un’identità precisa, riconoscibile, e restare radicate nel territorio — un insegnamento ancora validissimo oggi.

Poi sono arrivate le leggi, la regolamentazione, il digitale. Da un lato la stabilità, dall’altro le prime crepe: fusioni, concentrazioni, redazioni che si accorpano. Il passaggio al digitale terrestre ha premiato chi era strutturato e ha messo in ginocchio i piccoli, lasciando indietro tante realtà comunitarie che avevano tenuto accesa la fiamma del locale per decenni.

Oggi, nel 2025, la partita è apertissima.
Le TV liguri vivono in bilico tra pubblicità in calo e fondi pubblici indispensabili, cercando un equilibrio che permetta di restare indipendenti senza rinunciare alla sostenibilità. E nel frattempo devono reinventarsi: streaming, social, piattaforme, nuovi pubblici. Il rischio è di perdersi in un mare digitale dove tutto è globale e niente è davvero vicino.

Eppure, proprio in questo scenario, la loro importanza non è mai stata così evidente. Le TV locali sono ancora un faro di prossimità, il posto dove si racconta il territorio per quello che è, dove la politica parla alla gente e dove le storie delle persone contano davvero.

Il futuro? Sta nel trovare un nuovo equilibrio tra tradizione e innovazione.
Forse il modello di Teleliguria, diventata piattaforma VOD, è solo l’inizio di un nuovo modo di fare televisione: più flessibile, più digitale, ma sempre con le radici ben piantate nel territorio. Perché, finché ci sarà qualcuno disposto ad accendere una telecamera per raccontare la sua città, la TV locale non morirà mai.

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