Pavarotti 90… & Friends, l’evento che grazie al Maestro unì opera e pop

A 90 anni dalla nascita, Canale 5 celebra Luciano Pavarotti con un grande evento all’Arena di Verona. Dalla sua Modena ai duetti con le star mondiali, la storia dell’evento che per undici anni rese la musica classica popolare e la beneficenza spettacolo

90 anni fa, era il 12 ottobre 1935, nasceva Luciano Pavarotti. Il “Tenorissimo” ha segnato la Storia della musica con il suo talento e la contaminazione che, nel corso della sua carriera, impose alla tradizione classica, facendola incontrare con la musica pop. Oggi, 5 novembre 2025, in occasione del 90esimo dalla nascita e a 18 anni dalla scomparsa, su Canale 5 va in onda un evento registrato all’Arena di Verona ricco di ospiti.

Pavarotti 90, questo il titolo, vedrà Michelle Hunziker presentare esibizioni di artisti del calibro di Andrea Bocelli, Andrea Griminelli, Angela Gheorghiu, Biagio Antonacci, Carmen Giannattasio, Fabio Sartori, Francesco Meli, Giulia Mazzola, Giuliano Sangiorgi, Giuseppe Infantino, Hauser, Il Volo, Jonathan Tetelman, José Carreras, Laura Pausini, Ligabue, Lorenzo Licitra, Luca Carboni, Mahmood, Marcelo Álvarez, Mariam Battistelli, Plácido Domingo, Umberto Tozzi, Vittorio Grigolo, Yusif Eyvazov: un cast che ha dato vita a performance di straordinaria intensità.

Un evento musicale e televisivo, in linea con uno dei tasselli della carriera di Luciano Pavarotti più noti. Dal 1992 al 2003 Modena ospitò il Pavarotti & Friends, un mega concerto di beneficienza in cui il tenore ha duettato a fianco di artisti italiani e internazionali, dando vita a grandi momenti di spettacolo diventati irripetibili.

Tra filantropia ed evento mediatico

Fin dal suo concepimento, il Pavarotti & Friends è stato progettato su un doppio binario: era simultaneamente un evento di beneficenza dal vivo e un prodotto mediatico ad alta diffusione, come dimostrano i numeri delle vendite dei dvd e dei cd delle varie edizioni. 

Ogni concerto era sistematicamente registrato e distribuito a livello globale dalle etichette London Records e Decca Records. Una strategia rifletteva la filosofia personale di Pavarotti, che in un’occasione definì la registrazione discografica come il “passaporto” di un cantante, uno strumento che “arriva spesso nei Paesi stranieri prima del cantante” e immette la voce “nell’orecchio e nel cuore del pubblico”.

Nel contesto del Pavarotti & Friends, questo “passaporto” non trasportava solo la voce dell’artista, ma anche il suo messaggio umanitario. Il concerto a Modena era l’atto performativo; l’album e il dvd diventavano il veicolo che permetteva alla raccolta fondi di continuare su scala globale, estendendo l’impatto dell’evento ben oltre la singola serata e i confini del Parco Novi Sad di Modena.

Perché proprio Modena?

Un tenore noto in ogni angolo del mondo come Pavarotti avrebbe potuto scegliere una grande metropoli come Roma, Londra, Parigi o New York per rendere quello che sarebbe diventato un evento per un decennio ancora più suggestivo e mediaticamente “d’impatto”. Ma Pavarotti, invece, scelse la sua Modena.

I concerti, come detto, si tennero prevalentemente nell’arena all’aperto del Parco Novi Sad, trasformando un parco provinciale italiano in un palcoscenico di rilevanza mondiale. Questa decisione strategica ha avuto un duplice effetto. In primo luogo, ha rafforzato l’immagine pubblica di Pavarotti: quella del “Maestro” globale con i piedi saldamente piantati nella sua terra, un “tenore del popolo”che accoglieva il mondo a casa sua.

In secondo luogo, l’atmosfera di autenticità e l’impegno personale del Maestro sono stati fattori cruciali per convincere un’impareggiabile schiera di star internazionali del pop e del rock a partecipare a un evento lontano dai consueti circuiti commerciali.

Lo scopo umanitario dei concerti

Non solo spettacolo: il nucleo morale dell’intera operazione era l’impegno filantropico di Pavarotti. I proventi di ogni evento erano sistematicamente devoluti a cause umanitarie mirate, con un’enfasi particolare sulla protezione dei rifugiati e dei minori vittime di guerra.

Nelle dieci edizioni proposte spiccarono due organizzazioni come partner strategici e beneficiari principali lungo l’arco del decennio: lAlto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), ovvero l’agenzia ONU per i rifugiati è stata un collaboratore costante, ricevendo fondi per progetti specifici in diverse parti del mondo; War Child, l‘agenzia di aiuto internazionale, nota per il suo lavoro con i bambini nelle zone di conflitto, è stata un altro beneficiario chiave, in particolare per le crisi in Bosnia e Liberia.

Nel corso delle edizioni il Pavarotti & Friends non si è limitato a sostenere cause generiche, ma funzionava come un “barometro” umanitario, rispondendo in tempo reale alle più urgenti crisi geopolitiche del momento. Ogni edizione diventava quindi una piattaforma di “risposta rapida”, che utilizzava la musica e i duetti-evento per focalizzare l’attenzione globale su conflitti specifici, spesso complessi e politicamente sensibili.

Il concerto del 1995, denominato Pavarotti & Friends for the Children of Bosnia, si tenne durante le fasi finali della devastante guerra in Bosnia, portando sul palco la cruda realtà dell’assedio di Sarajevo attraverso la performance di “Miss Sarajevo” dei Passengers.

L’evento del 1999, Pavarotti & Friends for Guatemala and Kosovo, coincise direttamente con la guerra del Kosovo, fornendo aiuti in una zona di conflitto attivo, mentre nel 2001, in seguito agli attacchi dell’11 settembre, l’evento fu rapidamente dedicato ai rifugiati afghani.

Infine, l’ultimo concerto del 2003, Pavarotti & Friends for SOS Iraq, affrontò la crisi umanitaria all’inizio della guerra in Iraq. Questa immediatezza conferiva ai concerti un senso di urgenza e una rilevanza politica che trascendeva la semplice raccolta fondi, trasformandoli in potenti dichiarazioni culturali contro la guerra.

Pavarotti e la musica che diventa crossover

Il Pavarotti & Friends è stato l’atto di fondazione e la definizione stessa del genere “classical crossover” in formato mainstream. Il format musicale non si basava su un casuale “mash-up” di generi, ma seguiva una “ricetta” musicale e drammaturgica ben precisa, progettata per massimizzare il rispetto reciproco tra i generi.

In altre parole, la formula tipica prevedeva che l’artista pop o rock ospite iniziasse la canzone nel suo stile e nella sua tonalità originali. Pavarotti si univa quindi per la seconda strofa o per il ritornello, cantando spesso in italiano una linea melodica ri-arrangiata che aggiungeva contrappunto, armonia operistica e una potenza vocale straripante.

Questo approccio evitava l’effetto “karaoke”, in cui uno dei due artisti sarebbe apparso fuori contesto. Al contrario, creava un terzo prodotto musicale, un vero duetto ibrido in cui la struttura della canzone pop veniva elevata da un arrangiamento sinfonico e la voce lirica trovava una nuova collocazione emotiva. Il risultato era una fusione che si sforzava di essere additiva piuttosto che riduttiva per entrambi i generi.

Duetti che, alla loro visione, apparivano così spontanei e apparentemente facili, ma che nascondevano una complessa e sofisticata ingegneria musicale. Il successo della fusione tra opera, pop e rock di fronte a un’orchestra sinfonica completa e in una location che non era quella tipica per gli eventi di musica classica, non era casuale, ma il risultato di una produzione tecnica di altissimo livello, affidata ad alcune delle figure più rispettate dell’industria musicale.

L’ingaggio di questi professionisti dimostra che Pavarotti stava investendo non solo nella filantropia, ma nella creazione di un prodotto artistico e mediatico della massima qualità, legittimando l’esperimento agli occhi di entrambe le industrie (classica e pop).

Tra le figure chiave di Pavarotti & Friends, Michael Kamen: compositore, direttore d’orchestra e arrangiatore di fama mondiale, ha ricoperto il ruolo di Direttore Musicale, Arrangiatore e Direttore d’Orchestra per il concerto inaugurale del 1992 e a quello per la Bosnia del 1995, sapendo fondere credibilmente il rock con l’orchestra sinfonica.

Rob Mathes, produttore e arrangiatore, è stato arrangiatore per l’evento del 1998 per la Liberia. La sua collaborazione con Pavarotti è continuata anche su altri progetti, indicando una continuità nella ricerca di un suono orchestrale pop di alta qualità.

Phil Ramone, produttore leggendario (noto per il suo lavoro con Billy Joel, Frank Sinatra e Paul Simon), è stato ingaggiato per produrre l’album del 1998, “Pavarotti & Friends for the Children of Liberia”. Infine il regista cinematografico Spike Lee, a dimostrazione dell’importanza mediatica dell’evento, che ha diretto la trasmissione televisiva dei concerti del 1998 e del 1999.

Classica e pop, le critiche inevitabili

Tutto bene, dunque? Non proprio: la fusione così radicale tra l’opera, e la musica popolare non poteva che generare un acceso dibattito critico. I concerti hanno affrontato notevoli critiche da parte dei puristi del mondo della musica classica, secondo cui un tenore d’opera del calibro di Pavarotti, esibendosi in duetti pop, stava “contaminando” o banalizzando la sua arte per fini commerciali o di popolarità.

La risposta di Pavarotti a queste critiche è stata tanto semplice quanto profonda, e può essere considerata un vero e proprio manifesto culturale. Di fronte ai critici, egli ha ridefinito i termini del dibattito, affermando: “Alcuni dicono che la parola pop sia dispregiativa, per dire ‘non importante’ – non lo accetto. Se la parola classico è la parola per dire ‘noioso’, non lo accetto. C’è musica buona e musica cattiva”.

Come suggerito dal regista Ron Howard nel suo documentario sul tenore del 2019, l’obiettivo di Pavarotti era “riportare l’opera a quelle radici” di spettacolo popolare e accessibile a tutti. La sua voce straordinariamente bella e la sua dizione chiara avevano la capacità di parlare “direttamente al cuore degli ascoltatori, che sapessero o meno qualcosa di opera”.

In questo senso, la controversia critica non è stata un semplice effetto collaterale, ma una componente essenziale dell’impatto culturale dell’evento. Usando la sua fama e la piattaforma di Modena, Pavarotti ha costretto il mondo della musica a confrontarsi con l’idea che la qualità artistica e il potere emotivo potessero esistere indipendentemente dalle etichette di genere.

I duetti più famosi

Tra i duetti più noti delle varie edizioni del Pavarotti & Friends, alcuni sono rimasti nella memoria del pubblico e degli addetti ai lavori. Per comprendere l’evento bisogna andare alle sue origini e alle collaborazioni con artisti italiani. Fin dal primo concerto del 1992, la presenza di “amici” come Zucchero “Sugar” Fornaciari e Lucio Dalla è stata fondamentale.

Infatti i duetti su “Miserere” (con Zucchero) e “Caruso” (con Dalla) hanno costituito i prototipi del format. Zucchero, in particolare, è stato un collaboratore costante e un pilastro dei concerti, esibendosi in edizioni successive con brani come “Così Celeste”e partecipando anche alla serata finale del 2003.

Queste collaborazioni hanno fornito l’autenticità “locale” e hanno dimostrato che il concetto di “crossover” non era solo un’importazione di star anglofone, ma funzionava magnificamente all’interno della cultura italiana, costruendo un ponte credibile tra la sua tradizione operistica e la sua moderna musica d’autore e rock.

Nel corso degli anni, Pavarotti ha chiamato sul palco voci note ed astri nascenti di quegli anni del nostro Paese: Andrea Bocelli, Eros Ramazzotti, Giorgia, Jovanotti, il Piccolo Coro dell’Antoniano, i Litfiba, Laura Pausini, Renato Zero, Alex Britti, Biagio Antonacci, Irene Grandi, Fiorella Mannoia, Patty Pravo, Elisa e Gino Paoli.

Numerosissimi gli artisti pop stranieri che hanno preso parte alle varie edizioni, rendendosi protagonisti di duetti di notevole prestigio. Dolores O’Riordan, cantante dei Cranberries, nel 1995 si esibì su “Ave Maria”. La star dell’alternative rock si spostò verso il repertorio classico, fondendo la sua voce eterea con la potenza lirica di Pavarotti in un brano sacro.

Mariah Carey, nel 1999, duettò su su “Hero”: esempio perfetto della formula standard della ballad pop globale arricchita dall’inserimento di strofe in italiano e dal sostegno vocale di Pavarotti. James Brown, nel 2002, è stato forse il punto più radicale e audace raggiunto dal “crossover” a Modena. Il duetto su “It’s a Man’s, Man’s, Man’s World” ha portato la voce, il fraseggio e la dizione impeccabile di Pavarotti nel territorio del puro soul e funk americano, unendo due mondi apparentemente inconciliabili.

Altre collaborazioni seminali che hanno definito il suono dell’evento includono i duetti con Sting, Tracy Chapman, Brian May dei Queen, Eric Clapton, Ricky Martin, Enriquel Iglesias, Simon Le Bon, Meat Loaf, Elton John, Liza Minnelli e le Spice Girls.

Oltre la musica: il caso di Miss Sarajevo

Nel concerto del 12 settembre 1995, la performance di “Miss Sarajevo” rappresentò la sintesi perfetta e il punto più alto della visione di Pavarotti. Il brano era stato scritto dal gruppo Passengers, uno pseudonimo che celava gli U2 e il produttore Brian Eno. 

La canzone, nata per l’album Original Soundtracks 1, includeva un cameo operistico ed era ispirata a un concorso di bellezza realmente tenutosi in un seminterrato durante l’assedio di Sarajevo, un atto di sfida e di umanità in piena guerra. Pavarotti stesso aveva cercato attivamente la collaborazione, “chiamando insistentemente” (secondo le parole di Bono) la casa del cantante per chiedergli una canzone.

Il debutto mondiale dal vivo della canzone avvenne proprio sul palco di Modena. Sul palco salirono Bono, The Edge, Brian Eno e Luciano Pavarotti, accompagnati da un’orchestra completa. Tra il pubblico, a testimonianza della rilevanza globale dell’evento, sedeva la Principessa Diana di Galles.

L’esibizione ha trasceso il concetto di duetto, fu un atto di arte politica. Il soggetto della canzone (la guerra in Bosnia) era l’esatto beneficiario del concerto (i bambini della Bosnia). La fusione di art-rock d’avanguardia, opera lirica e un testo politicamente carico, eseguita di fronte a figure di rilevanza mondiale e trasmessa globalmente, ha elevato l’evento da semplice concerto di beneficenza a momento culturale di portata storica.

Cosa rimane del Pavarotti & Friends?

L’eredità ultima del Pavarotti & Friends si può leggere su tre fronti. In primo luogo, ha stabilito un nuovo modello filantropico reattivo, su larga scala e mediaticamente efficace. In secondo luogo, ha raggiunto l’obiettivo culturale di Pavarotti: democratizzare l’opera. Utilizzando la sua personalità, la sua capacità di connettersi emotivamente con il pubblico e la sua volontà di abbattere le barriere percepite tra cultura “alta” e “popolare”, ha trasformato l’opera in una forma d’arte amata da milioni di persone

Infine, ha legittimato il genere “classical crossover”. Grazie alla serietà della produzione musicale e alla statura degli artisti coinvolti, ha dimostrato che la fusione poteva essere una forma ibrida e valida, aprendo la strada a intere generazioni di artisti.

Il genio di Luciano Pavarotti è stato quello di comprendere che questi tre elementi erano indissolubilmente legati. L’urgenza filantropica ha fornito il nucleo morale che ha attratto le più grandi star del pop. La fusione artistica con queste star ha creato un evento culturale dirompente.

Questo evento culturale, trasformato in un prodotto mediatico di successo globale, ha generato i fondi necessari per alimentare la missione filantropica. Un circolo perfetto, alimentato dalla sua visione umanitaria e dalla sua voce inimitabile, e difficilmente ripetibile.

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