Eurovision può restare “apolitico” in un mondo così politico? Tutte le crisi del contest
eurovision 2026

La decisione dell’EBU di ammettere Israele accende la più grande crisi politica dell’Eurovision di oggi: Spagna, Irlanda, Paesi Bassi e Slovenia boicottano il contest. Un viaggio tra ritiri, squalifiche e tensioni che hanno segnato la storia del concorso.

C’è un paradosso che accompagna l’Eurovision Song Contest dai suoi inizi: nasce per unire, ma – per un motivo o per un altro  – ciclicamente finisce per dividere. Ne abbiamo avuto piena dimostrazione proprio con quello che accadrà nell’edizione 2026, che 7 mesi prima del suo inizio, sta già collezionando nuovi precedenti.

La decisione dell’EBU di ammettere Israele alla prossima edizione, nonostante l’escalation della guerra a Gaza, ha provocato la reazione immediata di Spagna, Irlanda, Paesi Bassi e Slovenia: quattro broadcaster pubblici europei hanno annunciato l’intenzione di non partecipare.

Un boicottaggio vero, secco, che per numeri, portata e contesto geopolitico mette – in tutta la sua chiarezza – uno dei momenti più delicati nella storia moderna del concorso.

Eppure – se nessuno se ne fosse mai accorto – l’Eurovision, checché se ne dica, è sempre stato un sismografo politico più che un palco glitterato. Ogni volta che in Europa c’è una tensione, un conflitto, una frattura diplomatica, prima o poi lo shock arriva anche qui. Non è un incidente: è una caratteristica strutturale di una competizione che mette insieme decine di Paesi, governi, leggi, identità e sensibilità.

Per capire cosa sta succedendo oggi, bisogna dare un’occhiata a cosa è accaduto nell’arco della sua storia che non è sempre stata di rose e fiori: l’Eurovision ha attraversato molte altre crisi, alcune silenziose, altre esplosive. E tutte raccontano qualcosa dell’Europa (e del mondo) del loro tempo.

Quando la politica si siede al tavolo di Eurovision: i precedenti

1970: Il primo boicottaggio della storia

L’Eurovision Song Contest esce dagli anni ’60 con una ferita ancora aperta: il famigerato pareggio a quattro (Francia, Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito) del 1969. Nessun tie-break, nessuna regola chiara, la vittoria moltiplicata crea caos e frustrazione.

L’anno dopo, quattro Paesi decidono di non presentarsi: Finlandia, Norvegia, Svezia e Portogallo. Non è ancora geopolitica, ma è il primo segnale che il concorso può andare in crisi perché qualcosa nel meccanismo non funziona. Un monito che risuona ancora oggi.

1975: Grecia contro Turchia

Il primo caso esplicito in cui un conflitto territoriale arriva a determinare la partecipazione (o non partecipazione) di un Paese avviene nel 1975. La tensione è altissima dopo l’invasione di Cipro da parte della Turchia. La Grecia, per protesta, si ritira.

1977–1979: Israele come punto di frattura

Già negli anni ’70 la presenza di Israele creava attrito, la Tunisia decide di non debuttare nel 1977, mentre due anni dopo sarà la volta di un ritiro, quello della Turchia. È uno dei momenti in cui si capisce che Eurovision, suo malgrado, riflette l’instabilità del Medio Oriente. Evidentemente, questa non sarà l’unica occasione in cui Israele diventa un ostacolo in questa manifestazione.

2005: Il caso Libano

In quella edizione il Libano doveva debuttare. Aveva già il brano (“Quand tout s’enfuit“), l’artista (Aline Lahoud), pure la promozione. Ma la legge nazionale vieta la trasmissione di contenuti israeliani. Israele quell’anno è in gara, di conseguenza il Libano non può mandare in onda la sua performance, dunque si ritira.
È un caso eclatante in cui una legge statale supera la volontà del broadcaster.

2009: Il testo anti-Putin della Georgia

La Georgia propone We don’t wanna Put In, un brano ironico ma troppo trasparente nella sua allusione al presidente russo. L’EBU chiede di modificarlo. La Georgia è inamovibile. Risultato? il ritiro.

È uno dei rari casi in cui il contenuto della canzone scatena la crisi.

2012: Armenia non mette piede a Baku

L’Eurovision quell’anno è ospitato dall’Azerbaigian e l’Armenia, in piena tensione diplomatica e militare, rinuncia a presentarsi. La competizione non è mai così apolitica come dichiara di voler essere.

2017: Russia vs Ucraina

Julia Samoylova, rappresentante russa, era entrata in Crimea attraverso l’aeroporto di Simferopoli dopo l’annessione del 2014. Per l’Ucraina è una violazione delle proprie leggi, dunque le viene vietato l’ingresso nel Paese ospitante. L’EBU tenta di mediare, ma niente: la Russia si ritira. È uno dei casi più tesi dell’ultimo decennio.

2021–2022: Le espulsioni degli Stati autoritari

Due colpi di scena consecutivi:

  • La Bielorussia viene esclusa per contenuti considerati propaganda politica pro-regime;
  • La Russia viene bandita all’indomani dell’invasione dell’Ucraina.

In questa circostanza l’organizzazione prende posizione e l’Eurovision diventa esplicitamente un’arena di valori democratici, con l’EBU che traccia un confine netto.

2024: La squalifica olandese

Joost Klein, finalista, viene squalificato a gara in corso dopo un incidente con una produttrice.

Non è un caso politico, ma è un precedente pesante: per la prima volta un finalista viene eliminato durante l’evento. Un campanello d’allarme sui rapporti interni, sulle procedure e sulla tenuta organizzativa dell’EBU.

Ed ora, in questa tabella che vi proponiamo, passiamo agli altri casi, analoghi e non. Sono episodi che proseguono il nostro racconto nella storie delle controversie dell’ESC.

Anno Paese Artista / Brano Tipo di caso Motivo
1968 Norvegia Odd Børre – Jeg har aldri vært så glad i noen som deg Ritirata Accuse di plagio, sostituita
1971 Svizzera Peter, Sue & Marc – Legende de mon pays Ritirata Cambio interno del brano
1973 Malta Ritiro del paese Nessun brano inviato
1974 Francia Dani – La vie a vingt-cinq ans Ritirata Lutto nazionale dopo la morte di Pompidou
1976 Germania Ovest Tony Marshall – Der Star Squalificata Violazione regolamento; sostituita
1977 Tunisia (nessuna entry definitiva) Ritiro Motivi politici legati alla presenza di Israele
1979 Turchia Maria Rita Epik & 21. Peron – Seviyorum Ritirata Tensioni politiche e diplomatiche
1982 Grecia Themis Adamantidis – Sarantapente kopelies Squalificata Brano non originale
1986 Grecia Polina – Wagon-lit Ritirata Decisione governativa; vigilia di Pasqua ortodossa
1988 Cipro Yiannis Dimitrou – Thimame Squalificata Brano già presentato
1990 Austria Duett – Das Beste Squalificata Problemi di pubblicazione
1992 Svizzera Géraldine Olivier – Soleil, soleil Squalificata Problemi interni alla selezione
1999 Bosnia Erzegovina Hari Mata Hari – Starac i more Squalificata Plagio
1999 Germania Corinna May – Hör den Kindern einfach zu Squalificata Brano già pubblicato
2002 Lituania B’Avarija – We All Squalificata Pubblicazione anticipata
2005 Libano Aline Lahoud – Quand tout s’enfuit Ritiro Legge nazionale impediva trasmissione di Israele
2006 Serbia e Montenegro No Name – Moja ljubavi Ritiro Polemiche politiche sulla selezione
2009 Georgia Stephane & 3G – We Don’t Wanna Put In Ritiro/Esclusione Testo considerato politico
2011 Bielorussia Anastasia Vinnikova – I Am Belarusian (poi cambiata) Squalificata Violazioni regolamentari
2012 Armenia Ritiro Tensioni con Azerbaigian ospitante
2016 Romania Ovidiu Anton – Moment of Silence Esclusione TVR espulsa dall’EBU per debiti
2017 Russia Julia Samoylova – Flame Is Burning Ritiro Divieto di ingresso in Ucraina
2019 Ucraina MARUV / entry non inviata Ritiro Conflitto politico e contrattuale
2021 Armenia Ritiro Instabilità post-conflitto
2021 Bielorussia Galasy ZMesta – due brani Esclusi Testi giudicati propaganda
2022 Russia Esclusione Invasione dell’Ucraina
2022 Ucraina Alina Pash – Shadows of Forgotten Ancestors Ritiro Controversia sul viaggio in Crimea
2024 Israele Eden Golan – October Rain (versione originale) Squalificata Testo ritenuto troppo politico
2024 Paesi Bassi Joost Klein – Europapa Squalifica durante l’evento Incidente con produttrice

Parallelamente ai ritiri politici ci sono decine di casi in cui la canzone stessa crea il problema: accuse di plagio, testi troppo vecchi, brani già pubblicati, regole violate, artisti contestati.

Una valanga di episodi, dai primi anni ’60 fino a oggi, compresi:

  • Norvegia 1968 : brano ritirato per plagio;
  • Francia 1974 : ritiro per lutto nazionale;
  • Grecia 1982 e 1986 : un squalificato, uno ritirato last minute;
  • Bosnia 1999 : entry squalificata;
  • Romania 2016 : il Paese stesso estromesso dall’EBU per debiti;
  • Ucraina 2022 : artista ritirata per controversia sulla Crimea;
  • Israele 2024 : canzone giudicata troppo politica e riscritta d’urgenza.

Questi episodi mostrano che Eurovision è fragile non solo politicamente: basta un dettaglio regolamentare per far saltare tutto.

Anno Paesi coinvolti Tipo di caso Motivo
1970 Finlandia, Norvegia, Svezia, Portogallo Boicottaggio Protesta contro il pareggio a 4 del 1969 e mancate riforme
1975 Grecia Ritiro Protesta contro la partecipazione della Turchia dopo l’invasione di Cipro
1977–1979 Tunisia, Turchia Ritiri Motivi politici legati alla presenza di Israele
1980-oggi Marocco Assenza permanente Motivi politici/diplomatici legati alla causa palestinese
2005 Libano Ritiro Impossibilità legale di trasmettere Israele
2013-oggi Turchia Ritiro prolungato Protesta contro sistema di voto e Big Five
2019 Ucraina Ritiro totale Conflitto politico con gli artisti sui rapporti con la Russia
2021 Bielorussia Esclusione Espulsione dal circuito EBU
2022 Russia Esclusione Invasione dell’Ucraina
2026 (annunciato) Irlanda, Spagna, Paesi Bassi, Slovenia Boicottaggio Protesta contro l’ammissione di Israele durante la guerra a Gaza

Perché questo boicottaggio è diverso da tutti gli altri?

La crisi che ha visto il ritiro di 4 paesi (di cui una di queste – Spagna – è big five) ha una natura nuova per almeno tre motivi:

  1. È un boicottaggio multiplo e coordinato. Irlanda, Spagna, Paesi Bassi e Slovenia: quattro Paesi insieme non si erano mai ritirati per la stessa ragione politica. È un fronte comune, non un’eccezione isolata.
  2. Contesta la decisione dell’EBU, non un brano o un artista. Qui non c’è una canzone vietata, c’è una scelta istituzionale dell’EBU – ammettere Israele nonostante la guerra – che viene giudicata incompatibile con i valori del servizio pubblico.
  3. Arriva in un momento di grande fragilità interna che si trascina da qualche anno: la squalifica olandese del 2024, le polemiche sul voto, il cambio di direzione, la discussione sul ruolo delle giurie, la percezione di un concorso sempre più politico, questo boicottaggio sembra un effetto domino più che un episodio isolato.

L’Eurovision è davanti al suo test più grande

Eurovision resiste da ormai 70 anni proprio perché ha saputo attraversare crisi enormi senza perdere l’idea originaria: unire i Paesi attraverso la musica.
Ma l’edizione 2026 si prospetta diversa, lo si percepisce e chi non lo vede è evidente che vuole girarsi da un’altra parte. Qui sono in discussione i valori stessi su cui si regge il concorso.

In questo post che vi mostriamo, la pagina X El EuroRincón dà un’idea di come potrebbe impattare – in modo negativo – l’assenza di 4 nazioni (potenziali 5 inserendo l’ipotesi di ritiro da parte dell’Islanda) dal punto di vista dell’audience totale. Si stima una perdita di circa 28,5 milioni di spettatori.

La domanda che aleggia – nelle redazioni dei broadcaster, nelle riunioni interne dell’EBU, e tra i fan – è semplice, quanto limpida e spietata: Eurovision può davvero restare “apolitico” in un mondo così politico?

La verità è che non lo è mai stato. E forse proprio ammetterlo sarà il primo passo per farlo ripartire.

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